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Questo articolo è stato pubblicato il 28 febbraio 2013 alle ore 09:43.

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Mentre tutti aspettano il debutto di Moleskine, di cui si sono perse un po' le tracce nelle ultime settimane, a rompere il digiuno di matricole di Borsa potrebbe essere invece un'azienda di genova, nata nel 1989, che gestisce servizi elettronici di ticket restaurant, coupon e altri sistemi di pagamento telematici. E se l'azienda delle agendine nere "cult" ha i numeri da small-cap, se non forse micro-cap (60 milioni di fatturato "core" e 250 il giro d'affari dell'indotto, ma altissima marginalità), Qui!Group, con 525 milioni di ricavi, si candida invece a essere una società di media o alta capitalizzazione (per gli standard dimensionali di Milano). Qui!Group, però, non sarà la classica matricola da Ipo: l'azienda non vuol passare per l'usuale procedura di listing (con un'offerta pubblica di vendita e sottoscrizione). Ma vuole quotarsi usando una società già presente sul listino: o una delle tante scatole vuote di Piazza Affari, o un'azienda analoga. Un "reverse merger", appunto: incorporandosi in una società e prendendone poi il nome.

In una Borsa che fatica sempre più ad attrarre nuove aziende (un solo debutto nel 2012, Brunello Cucinelli; e lo stesso nel 2011, Salvatore Ferragamo), una matricola fa notizia. E fa ancora più notizia se intende quotarsi con una fusione inversa. I casi di "reverse merger" sono una rarità in Borsa (se si escludono le Spac che però lo fanno per statuto a conclusione di un iter finanziario): l'unica fusione all'inverso industriale degli ultimi anni è quella di Uni Land, società immobiliare che nel 2006 si quotò usando la vecchia azienda di cosmetici Perlier. Per trovarne un'altra bisogna risalire indietro nel tempo alla Tecnosistemi di Mutti che sfruttò la decotta Freedomland per sbarcare sul listino. A entrambe la fusione inversa non ha portato molta fortuna.

Perché dunque non procedere a un normale listing? Gregorio Fogliani, fondatore e presidente di Qui!Group, lo spiega con la necessità di non poter aspettare i tempi della burocrazia di Borsa. "L'azienda va bene, cresce ogni anno e ora deve fare il salto dimensionale, andando all'estero. La normale procedura di quotazione ha tempi tecnici lunghi, per non parlare degli alti costi. Per internazionalizzarci, d'altro canto, presentarsi come azienda quotata è fondamentale". Insomma Qui!Group vuole andare in Borsa, ma nel più breve tempo possibile. Di qui la scorciatoia del reverse merger, da completare nel giro di qualche mese. D'altro canto Qui!Group non va in Borsa, "perché vogliamo metterci soldi in tasca" ma per cercare un socio industriale che sia attraverso il reverse merger appunto o un'acquisizione successiva (che sarebbe appunto facilitata dal fatto di presentarsi all'estero come azienda quotata) se la fusione sarà con una scatola quotata invece che con un partner industriale. "Non vogliamo i fondi di private equity, non ci interessano gli investitori finanziari". Qui!Group è un'azienda familiare: il capitale è diviso tra il presidente e la moglie più altri 3 soci privati che direttamente e indirettamente. I bilanci, dichiara Fogliani, chiudono in utile (anche se la marginalità non è stratosferica, il Mol è appena il 3% dei ricavi, sui livelli dell'industria alimentare una delle meno redditizie) ma l'azienda non ha debiti con le banche: la sola esposizione è con i fornitori.

Da cinque anni i bilanci sono certificati, e il gruppo si è strutturato con una holding di controllo e le società operative sotto, il che, secondo, ha reso l'azienda pronta per la corporate governance che stare sul mercato richiede.

Ora la priorità è trovare la società target con cui entrare in Borsa. Nomi Fogliani non ne fa, ma l'elenco di società che offrono servizi di monetica e tessere-card elettroniche non sono molte: il pensiero, però, va a Best Union Company (la società di Nicoletta Mantovani, la vedova di Luciano Pavarotti) che e-ticketing e controllo elettronico di varchi.

Oggi la qui!Group vende più o meno in maniera paritetica sevizi sia al pubblico sia al privato: 60% dei ricavi sono contratti con la pubblica amministrazione (in primis Poste Italiane e il sindacato Cisl), il restante 40% da aziende. La società sta cercando di spostare il baricentro più verso i privati anche perché tra spending review e pagamenti sempre più dilazionati, il pubblico non è il cliente migliore oggi. Nonostante la recessione, però, la società è riuscita lo stesso a incrementare i ricavi: 525 milioni nel 2012 contro i 500 del 2011. Certo la crisi si sente, perché in precedenza i ricavi salivano a colpi del 30% l'anno. Ma anche con la frenata del 2012, la crescita media annua degli ultimi anni è del 23 per cento. E' il biglietto da visita che Fogliani esibisce al mercato. Troverà la sua sposa in Borsa?

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