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Questo articolo è stato pubblicato il 28 febbraio 2013 alle ore 06:41.

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Eric Knight in Italia non ci è arrivato. È stato fermato all'aerporto di Zurigo da un furto che gli ha sottratto i documenti personali. Però il fondo Knight Vinke, che rappresenta e che da ormai sei anni ha investito nell'Eni: Knight Vinke, meglio scorporare subito Saipem con una quota vicina all'1%, si è fatto sentire. Con l'amministratore delegato del Cane a sei zampe, Paolo Scaroni, a cui ha inviato a una lettera e con «Il Sole-24Ore» a cui ha spiegato telefonicamente perchè l'ha scritta. Dopo la battaglia vinta su Snam, il fondo attivista – base a Manhattan, ma portafoglio di aziende strategiche europee – torna alla carica per chiedere lo spin-off di Saipem. Ma senza polemiche. «Nessuna ostilità da parte nostra», assicura.

Nella missiva che inizia con "Dear Paolo" e si conclude con l'assicurazione di essere un "supportive" investitore di lungo termine, di sostenere cioè gli interessi del gruppo e dei suoi azionisti, Knight Vinke sollecita un rapido distacco da Eni di Saipem, che è «una bellissima società», in grado di reggersi da sola. E che però, a causa dello scandalo delle presunte tangenti in Algeria, ha perso valore. «Siamo preoccupati per la vicenda Saipem: in meno di tre settimane Eni ha bruciato 7 miliardi di capitalizzazione in Borsa, vanificando i progressi che erano stati fatti con la separazione da Snam. Un peccato perchè Goldman Sachs, JP Morgan e anche Deutsche Bank avevano messo Eni nella lista dei titoli top in cui investire assolutamente quest'anno – sottolinea Eric Knight – Abbiamo inviato perciò una lettera al vertice del gruppo per aprire un dibattito e proporre soluzioni». «Nella configurazione attuale – spiega ancora l'investitore – Eni si assume tutti i rischi legali e reputazionali, ma non ha i vantaggi del controllo di Saipem. Una situazione che comporta rischi per l'Eni e il suo management, e che potrebbe ancora peggiorare se dovesse intervenire il Dipartimento di giustizia Usa: si è visto con il caso Bp quanto può essere pesante il contenzioso. Eni cerca di attenuare questi rischi tenendo una relazione "lasca" con la partecipata e con una governance da società indipendente per Saipem. Ma questa situazione è comunque troppo ambigua. Da una parte Saipem, che per oltre la metà del suo giro d'affari ha clienti diversi da Eni, si presenta essa stessa come società autonoma. Dall'altra il logo dell'azionista compare ovunque, e ci sono più di 50 manager e impiegati nella società di impiantistica che arrivano dall'Eni. Lo stesso amministratore delegato viene dall'Eni». «Il management dell'Eni sostiene che con Saipem ci sono sinergie, ma – argomenta il fondo attivista – se ci sono è perchè Saipem è controllata dall'Eni e allora è più difficile sostenere nel contempo che le gestioni delle due società sono separate».

La soluzione, insomma, è uscire dall'ambiguità e staccarsi del tutto da Saipem: sulla carta le formule tecniche sono tre, ma di fatto nella situazione attuale, secondo Knight Vinke, solo una è praticabile. La prima è cedere Saipem, ma non è il momento perchè il valore della società è crollato di un terzo. La seconda è collocare sul mercato il 43% di Saipem che è dell'Eni, ma vale il discorso di prima. La terza, che è quella sponsorizzata, è la scissione della società di impiantistica con la distribuzione delle azioni ai soci dell'Eni – compreso lo Stato, «che, a differenza del caso Snam, non sborserebbe nulla» – di modo che gli investitori siano liberi di scegliere quali titoli e quali rischi mantenere in portafoglio. Così però l'Eni dovrebbe rinunciare a una società che dallo stesso Knight Vinke è giudicata «solida e con un posizionamento di mercato eccellente», con l'unico vantaggio economico di deconsolidare 4,3 miliardi di debito (operazione che peraltro presupporrebbe il rifinanziamento dell'importo, visto che si tratta di risorse contribuite da Eni a Saipem). «L'Eni, quando vende, pensa sempre a fare cassa – osserva Eric Knight – ma su questa vicenda ha già bruciato più valore in Borsa di quanto ne abbia investito in Saipem. Potrebbe invece concentrarsi meglio sul core business – ha fatto degli ottimi investimenti in Mozambico che deve finanziare – e inoltre eliminerebbe l'holding discount sul titolo». Ma Saipem cosa ci guadagnerebbe? «Gli Usa hanno sviluppato una tecnologia di estrazione del gas non convenzionale (shale gas) che ha abbattuto i prezzi e consentirà agli Stati Uniti per la fine del decennio di diventare esportatore netto. Saipem è focalizzata sull'estrazione tradizionale: se fosse indipendente, potrebbe rifletterci».

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