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Questo articolo è stato pubblicato il 28 febbraio 2013 alle ore 13:35.
Curiosità? Sì e qualcosa in più. Le remunerazioni dei top manager bancari possono sembrare competenza degli azionisti grandi e piccoli che approvano il bilancio e pagano. E anche se l'argomento rimbalza nella dialettica interna sindacati-azienda sarebbe riduttivo confinarlo nei volantini («Nelle prime cinque banche il rapporto è 84 volte lo stipendio minimo»). Parlamento europeo e banche centrali se ne stanno occupando in queste settimane e in questi giorni (vedi scheda) perché nelle scelte retributive per i grandi manager può annidarsi una forzatura delle politica di stabilità delle banche. Troppo variabile cash e con pagamenti troppo concentrati, possono portare a scelte dannose per gli anni successivi dell'istituto.
Legare la remunerazione al risultato aziendale è corretto in un equilibrio di lungo periodo, non su picchi di utili magari creati ad hoc. Sui dati 2011 delle prime sette banche italiane, elaborati dal sindacato di categoria Uilca, si intravede una progressiva perdita di peso della parte variabile (cash o titoli) a vantaggio della parte fissa. La remunerazione media per il 2011 (come si vede in tabella) è ormai frutto per il 96% della componente fissa e si è ridotta ai minimi per la parte variabile. Non era così negli scorsi anni dove la componente variabile era quasi metà dell'appannaggio.
La crisi ha tagliato i bonus dei banchieri europei del 60% e le retribuzioni del 20% secondo lo studio condotto da Guido Ferrarini e Maria Cristina Ungureanu dell'Università di Genova. La parte variabile monetaria (i bonus appunto) si è ridotta in misura notevole sia per effetto delle minori performance delle banche dopo la crisi sia come risultato delle riforme volute dal G20 ed elaborate dal Financial Stability Board che hanno costretto le banche a differire la remunerazione variabile dei manager nel tempo e a corrispondere una parte della stessa in azioni proprie o in strumenti collegati alle azioni. Per fortuna qualche banchiere italiano si è autoridotto lo stipendio.
Anche le remunerazioni-monstre alla Jamie Dimon (il numero uno di Jp Morgan -vedi rubrica a fianco) sentono l'aria che tira (da 23 milioni a 11,4 milioni di dollari). Bankitalia tiene d'occhio le banche prevalentemente commerciali e oltre a consigliare moderazione (anche nella distribuzione dei dividendi) vuole stabilire una connessione fra performance aziendali caratteristiche e di lungo periodo e incentivazione del top management. «È necessario - ha detto nei giorni scorsi il Governatore, Ignazio Visco - che la parte variabile delle remunerazioni delle figure aziendali che influenzano il processo di assunzione dei rischi fletta in linea con i risultati reddituali: non dovranno, in particolare, distribuire bonus le aziende in perdita». Valgono i risultati caratteristici, non quelli di gestione straordinaria. Anche per il sindacato l'interesse è che l'impresa prosperi nel lungo periodo a beneficio di chi ci lavora, dei clienti, delle comunità di riferimento e dei fornitori. E i compensi di fine rapporto - sostiene Bankitalia - devono essere legati in modo chiaro ed efficace ai risultati conseguiti. «Le buonuscite devono essere basate su adeguati meccanismi di valutazione dell'operato del manager. Il compenso deve essere differito per un periodo di tempo congruo, che consenta di convalidare la bontà della gestione».
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