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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2013 alle ore 06:42.

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di Riccardo Sabbatini «Non è una scelta tattica, utilizzare standard meno rigorosi rispetto alle best practice del mercato ci esponeva ad una debolezza». Illustrando ad un gruppo di giornalisti i risultati annuali del gruppo, il Ceo di Generali Mario Greco ha spiegato così la decisione presa dai nuovi manager della compagnia di rendere più rigidi i criteri di impairment del gruppo, allineandoli sostanzialmente a quelli dei principali competitor.
Una decisione che non soltanto ha abbattuto l'utile di fine anno del Leone ma che ha comportato anche un ulteriore sacrificio. Poichè le svalutazioni sono in gran parte indeducibili fiscalmente, il tax rate del gruppo è balzato dal 40 al 77 per cento con un onere per tasse cresciuto dai 762 milioni del 2011 ai 1723 dello scorso esercizio. Anche se quegli asset riprenderanno valore nei prossimi anni il fisco non ricambierà la cortesia.
Eppure il mercato ha mostrato ieri di apprezzare la svolta verso una maggiore trasparenza con un balzo in avanti in Borsa che il titolo delle Generali non conosceva da molti anni.
La fiducia degli investitori riposa anche nella solidità del business della compagnia italiana riuscita ancora una volta a migliorare i suoi profitti operativi anche in uno scenario sfavorevole dei mercati e dell'economia. Il miglioramento della gestione industriale ha superato anche l'esame delle riserve tecniche che, rivisitate dai nuovi manager, hanno confermato la loro tenuta. Quelle dei rami danni sono state riviste per pochi milioni mentre nel vita - ha sottolineato il Cfo Andrea Minali - «sono a prova di bomba».
Particolarmente lusinghieri sono i risultati ottenuti dal gruppo italiano nell'Europa dell'Est. Alla vigilia del riacquisto della prima quota di minoranza della joint venture Generali-Ppf dal finanziere ceco Petr Kellner - avverrà a fine marzo - i dati del bilancio annuale del Leone mostrano che proprio in quell'area la compagnia registra la maggiore crescita della nuova produzione vita (+23,6% misurata con la metodologia Ape) ed un incremento del 6,3% nel risultato operativo dei rami danni (304 milioni). La scommessa di aver puntato nell'Europa dell'Est si sta insomma confermando come vincente.
Nella ripartizione tra aree di business dell'utile operativo la raccolta dei danni cresce ad un ritmo leggermente superiore rispetto al vita (+3,3% rispetto al 3,1 %) il cui contributo agli utili operativi è tuttavia ancora preponderante (2,7 miliardi rispetto ai 1,7 miliardi dei danni). E poichè il gruppo di propone di pareggiare le due fonti di utili per il 2015, molta strada c'è ancora da fare. «Il nostro viaggio verso quota 5 miliardi di profitti operativi ed un Roe del 13 % è in pieno corso», ha detto ieri Greco. Ma non sarà, appunto, una passeggiata anche perchè riequilibrio delle fonti di reddito dovrà avvenire soprattutto per linee interne poichè, almeno per il momento - ha ribadito il Ceo - non vi sono acquisizioni all'orizzonte, ma soltanto cessioni. A proposito delle quali - in corso vi sono le vendite delle attività vita in Usa e della Bsi - non è giunta ieri alcuna "fumata bianca".
Infine, con il comunicato delle Generali, si è avuta ieri notizia di un nuovo passo in avanti nella governance del Leone. Con la prossima assemblea sociale verrà modificato lo statuto eliminando, con l'art.38, il comitato di direzione (formato dall'amministratore delegato, direttori generali e vice direttori generali) fino ad oggi incaricato di attuale le delibere approvate dal Board. Un organismo che nei fatti era divenuto desueto con la decisione, presa nei mesi scorsi, di istituire un management committee formato dai 10 top manager del gruppo e sul quale ormai riposa la piena gestione operativa della compagnia. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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