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Questo articolo è stato pubblicato il 19 marzo 2013 alle ore 07:51.

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La Corporate America può contare su un tesoro aziendale record da 1.450 miliardi di dollari. E che promette di crescere ancora: basta prendere il caso di Apple. Il gigante degli iPhone e degli iPad, che a fine 2012 guidava la classifica delle imprese più ricche ha accumulato 137 miliardi, al giro di boa di quest'anno potrebbe avere in tasca 170 miliardi, l'11% del totale.

La liquidità accumulata dalle società a stelle e strisce, "contata" ogni anno da Moody's, rivela la loro ritrovata competività internazionale che si traduce in profitti. E il ruolo di traino che vantano comparti d'avanguardia quali l'hi-tech: tra le prime cinque in classifica, quattro sono leader tecnologici, accanto ad Apple, spuntano Microsoft, Google e Cisco Systems. Unica eccezione, la farmaceutica Pfizer. Assieme queste cinque rapresentano quasi un quarto, il 24%, del totale del tesoro contro il 21% del passato. Neppure la presenza di Pfizer, però, è un caso: farmaceutica, energia e consumi sono a fianco dell'hi-tech i settori più ricchi. Da solo il comparto tecnologico, in crescita, vanta il 38% del tesoro pari 556 miliardi, con gli altri tre settori di punta la percentuale combinata sale al 68%, 990 miliardi.

È un tesoro, per alcuni versi, scomodo. Anzitutto per il fisco americano: oltre metà, il 58%, è gelosamente custodito oltreoceano, fuori dalla portata delle tasse made in Usa per avvantaggiarsi invece di più generosi regimi impositivi offshore. La polemica infuria: è da dimostrare se i profitti che gonfiano le casseforti estere siano davvero generati oltreoceano o siano piuttosto trasferimenti di comodo, attraverso la manipolazione di proprietà intellettuale e il ricorso a una vasta gamma di scappatoie contabili.

Anche agli azionisti, il tesoro senza precedenti, fa gola. Cresce la pressione perché le società utilizzino parte di quelle risorse al fine di sostenere rally nei titoli e offrire premi agli azionisti, sotto forma di dividendi e buyback. Questa pressione potrebbe diventare difficile da resistere, più di quella del fisco che richiede riforme legislative. Nel caso di Apple, la maggior parte degli analisti scommette su un aumento della cedola di oltre il 50%, forse già alla fine del prossimo trimestre, a quasi 16 miliardi l'anno. Apple garantirebbe così uno dei più elevati rendimenti nella Corporate America: il 3,6%, meglio dell'84% delle aziende nell'S&P 500.

La società di Cupertino ha una ragione speciale per alzare la cedola: ha perso quasi 300 miliardi di capitalizzazione di mercato da settembre. Ma non è la sola a sentire sul collo il fiato degli azionisti. Le aziende nello S&P 500 sono reduci dall'esborso di una cifra record di 281,5 miliardi in dividendi già nel 2012, il 17% in più rispetto al 2011. Nel 2013 Standard & Poor's si attende un ulteriore incremento, pari al 3,6 per cento. La prudenza è d'obbligo: il cash serve a proteggersi da shock, sempre possibili in tempi di incertezza economica, e agli investimenti in ricerca e acquisizioni, sempre necessari per le performance del futuro. Le dimensioni raggiunte dal tesoro delle aziende americane potrebbero tuttavia permettere oggi di staccare nuovi assegni agli azionisti senza correre troppi rischi: la percentuale di profitti distribuita in cedole è del 36%, nettamente inferiore alla media storica del 52 per cento.

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