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Questo articolo è stato pubblicato il 23 marzo 2013 alle ore 08:21.

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Delusa dalla debolezza dei consumi in Europa, verso cui punta tuttora la maggior parte delle sue pipelines, Mosca sta cercando da tempo di spostare verso Oriente le sue esportazioni di idrocarburi. Se il buongiorno si vede dal mattino, la nuova leadership cinese potrebbe aiutarla a raggiungere l'obiettivo: al suo primo viaggio all'estero, il neopresidente Xi Jinping ha già sottoscritto contratti grazie ai quali la Russia potrà più che raddoppiare le vendite di greggio alla Cina. Sulle forniture di gas – di cui i due Paesi discutono da anni, accapigliandosi soprattutto sui prezzi – il progresso non è altrettanto netto. Ma c'è stato comunque un passo avanti, con la firma di un memorandum di intesa tra Gazprom e China National Petroleum Corp (Cnpc) che prefigura esportazioni per 38 miliardi di metri cubi l'anno, attraverso un gasdotto che ancora non esiste, a partire dal 2018 (proprio quando in teoria Mosca dovrebbe accrescere l'export verso l'Europa attraverso il South Stream).
Protagonista del ben più concreto accordo sul petrolio è Rosneft, il nuovo campione nazionale coccolato dal Cremlino, che ha appena completato l'acquisizione di Tnk-Bp diventando la maggiore compagnia petrolifera quotata al mondo. Ebbene, Rosneft – che già rifornisce Pechino con 15 milioni di tonnellate di greggio al giorno (300mila barili) – si impegna ad arrivare «gradualmente» a 31 milioni, cominciando quest'anno ad aggiungere 800mila tonnellate al giorno. In questo caso la pipeline esiste: è la Eastern Siberia-Pacific Ocean (Espo), costruita proprio con finanziamenti cinesi. Ma sarebbe necessario ampliarne la portata.
Le forniture petrolifere extra, tuttavia, arriveranno senz'altro, perché costituiscono la garanzia per un prestito da 2 miliardi di dollari, che la China Development Bank concederà alla stessa Rosneft, assetata di finanziamenti a lungo termine dopo l'onerosa acquisizione di Tnk-Bp.
Rosneft e la compagnia cinese Cnpc collaborareranno inoltre nello sviluppo di tre giacimenti offshore nell'Artico russo e in altri otto progetti sulla terraferma in Siberia Orientale. Con Sinopec è stato invece sottoscritto un impegno a «ottimizzare» il lavoro a Sakhalin-3 (petrolio e gas), valutando un'espansione del progetto. C'è infine l'ipotesi di costruire insieme una raffineria presso il porto cinese di Tianjin.
L'aumento delle importazioni di petrolio russo potrebbe consentire alla Cina di alleggerire la sua dipendenza dalle forniture iraniane, sempre più difficili da ottenere e da pagare a causa delle sanzioni Usa e Ue. Mosca viceversa troverebbe un cliente dai consumi sicuramente crescenti, a differenza degli europei: Pechino l'anno scorso ha importato oltre 5 milioni di barili di greggio al giorno, all'incirca quanti ne ha esportati Mosca.
Sempre ieri, i due Paesi hanno rafforzato i legami anche nel carbone. En+ Group, la società attraverso cui Oleg Deripaska controlla Rusal, ha siglato un accordo di cooperazione strategica del valore di 2 miliardi di $ con il maggior gruppo carbonifero cinese, Shenhua Group. Le due società individueranno e svilupperanno insieme risorse minerarie in Siberia Orientale e nell'Estremo Oriente russo.
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