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Questo articolo è stato pubblicato il 19 aprile 2013 alle ore 06:44.

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WASHINGTON
Too big to jail. La frase, resa popolare da un documentario della televisione pubblica americana, ritrae un fenomeno particolare e sempre attuale negli anni post-crisi finanziaria e mentre continuano a moltiplicarsi gli scandali bancari. E lo fa con un gioco di parole: se gli istituti sono stati spesso considerati troppo grandi fallire, too big to fail, i loro vertici, i chairman come gli amministratori delegati, sono stati giudicati troppo grandi per il carcere. Anzi, spesso anche solo per essere perseguiti dalle autorità giudiziarie.
La vicenda italiana del Monte dei Paschi ha fatto ora scattare un'inchiesta giudiziaria su alti dirigenti della banca giapponese Nomura, tra cui l'ex presidente europeo Sadeq Sayeed per truffa e ostruzione delle autorità di regolamentazione. Ma simili indagini - e ancora più condanne - restano rare a cominciare dagli Stati Uniti, epicentro del colosso del 2008, anche se non sono casi isolati. La carrellata dei personaggi illustri presi ufficialmente di mira dai magistrati è breve quando paragonata alla lista dei disastri e delle controversie che li hanno visti protagonisti. Ci sono alcuni grandi banchieri americani come europei: ecco anzitutto lo statunitense Angelo Mozilo, chairman di Countrywide Financial, leader dei mutui subprime poi rilevato da Bank of America. Le indagini penali, parallele a multe record a suo carico, sono decollate solo per finire in un nulla di fatto. Dall'altra parte dell'Atlatico si fa notare Joseph Ackermann, ex chairman della tedesca Deutsche Bank: un tribunale in Germania l'aveva assolto già nel 2004 dal sospetto di bonus impropri nel takeover di Vodafone. Nel 2011 è stato indagato per falsa testimonianza nel caso contro il suo predecessore Rolf Breuer, accusato d'aver contribuito al crack del Kirch Group. Più vicino all'Italia, nel 2010 il chairman della banca del Vaticano finì sotto indagine per riciclaggio.
Gli scandali, tuttavia, sono in gran parte rimasti circoscritti a sanzioni amministrative e pressioni politiche. A volte queste sono costate il posto ai top executive, ma poco più. Alla britannica Barclays il presidente Marcus Agius si è dimesso nel 2012, con il chief executive Bob Diamond, per la maniplazione del Libor. Un'inchiesta che rimane aperta contro una dozzina di banche globali e che però nei mesi scorsi ha fatto scattare solo multe e accuse contro trader. Gli scandali alle origini della crisi del 2008 non hanno avuto destino molto diverso: Tom McKillop, chairman dell'altro gigante britannico Rbs, salvato dal governo, assieme all'aggressivo Ceo Fred Goodwin si è ritirato e scusato in Parlamento per incompetenza bancaria. Niente incriminazioni anche in America per i re di Wall Street James Cayne e Dick Fuld, ex presidenti delle fallite Bear Stearns e Lehman Brothers. Fuld è stato solo «condannato» dal pugno di un ex dipendente. Il ministro della Giustizia americano Eric Holder è stato chiamato a rendere conto delle scarse azioni penali contro le banche e i top executive. Durante il tracollo delle casse di risparmio negli anni Ottanta erano pur scattati 1.100 casi penali e 800 condanne di banchieri, anche di alto rango. La sua riposta non ha avuto nulla che fare con le difficoltà, che pure esistono, di portare avanti complessi casi giudiziari: «Sono preoccupato - ha detto - che perseguire istituti di simili dimensioni avrebbe effetti negativi sull'economia». Insomma, too big to jail.
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