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Questo articolo è stato pubblicato il 20 aprile 2013 alle ore 08:22.

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Nelle ultime quarantott'ore molte materie prime sono riuscite a recuperare una parte dei ribassi dei giorni scorsi. Il vero e proprio crollo subìto non solo dall'oro, ma anche dai metalli non ferrosi e dal petrolio, ha risvegliato gli acquisti sul mercato fisico.
In Cina si segnala una forte ripresa delle importazioni di rame, dopo che il prezzo è sceso sotto 7mila dollari per tonnellata: circostanza che non ha tuttavia impedito al metallo rosso di finire anch'esso in «bear market». Il crollo dell'oro ha invece scatenato una corsa all'acquisto nelle gioiellerie indiane e presso i rivenditori di lingotti e monete di tutto il mondo: a Hong Kong le barre trattano a 2 $ sopra la quotazione di Londra, ai massimi da 15 mesi, mentre negli Usa le vendite di American Eagle in due giorni hanno superato i volumi dell'intero mese di marzo. Grazie a notizie come queste, l'oro è riuscito a riguadagnare quota 1.400 $/oncia. Anche altre materie prime si sono risollevate dopo la recente batosta, compreso il petrolio Brent, tornato ieri a lambire la soglia dei 100 $/barile. La risalita non ha però cancellato il dubbio – che a dire il vero serpeggia da mesi – che il superciclo rialzista delle commodities stia volgendo al termine.
Il «funerale del superciclo» è iniziato fin dal 2011, secondo Ed Morse, responsabile globale della ricerca sulle commodities di Citigroup, la stessa banca che per prima ha dettagliato la teoria secondo cui ci staremmo avvicinando al picco della domanda di petrolio (si veda Il Sole 24 Ore del 6 aprile). «Il secondo trimestre – scriveva Morse alla vigilia del crollo dell'oro – dovrebber fornire un'altra conferma che il superciclo si è finalmente concluso. Questo sarà il primo anno "normale" in oltre un decennio e terminerà con prezzi delle materie prime generalmente in ribasso». Non solo. «Per i prossimi anni, è probabile che ciascuna commodity sarà guidata dai propri fondamentali di domanda e offerta, piuttosto che da fattori più generali che influenzino tutto il comparto».
Gli speculatori, che avevano cavalcato a lungo e con grandi soddisfazioni il rally delle materie prime, da tempo sono a bocca asciutta: i principali indici di commodities hanno concluso il 2012 in negativo a fronte del +16% dell'S&P 500, mentre quest'anno siamo rispettivamente a -4,4% per il Crb e +9% per Wall Street.
I fondi specializzati in materie prime, che nel quarto trimestre 2012 – sull'onda di performance disastrose – avevano subìto il primo calo degli asset gestiti dal 2007, continuano anch'essi a deludere. Secondo Lippers la performance nel primo trimestre è stata di nuovo negativa, con una perdita media dell'1,83% (dopo il -5,5% di ottobre-dicembre). A brillare sono stati solo gli hedge funds che hanno "shortato" i mercati e alcuni fondi molto specializzati, con grande esposizione a una delle rare commodities in rialzo (come il cotone, che nel trimestre si è apprezzato del 17%).
Nella settimana fino al 17 aprile la fuga dalle materie prime si è fatta precipitosa: la stessa Lippers stima che i fondi basati negli Usa abbiano subìto riscatti per 2,7 miliardi di $, un record da quando raccoglie dati specifici su questo settore, ossia da maggio 2011.
Gli investitori si stanno allontando in massa anche dagli Exchange Traded Products (Etf, certificati e prodotti analoghi) sulle commodities. BlackRock stima che in marzo ci siano stati riscatti per 3,2 miliardi di $, con l'oro che per il terzo mese ha fatto la parte del leone. Una fuga confermata infine anche dai dati di Barclays Capital, che per il futuro lancia un avvertimento: «Le commodities sono sul punto di essere investite da una grande rotazione, che riguarderà la performance dei prezzi e la leadership sul mercato. Oro e argento in particolare, quelle che dal 2009 hanno corso di più, nei prossimi anni saranno probabilmente tra le commodities più deboli».
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