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Questo articolo è stato pubblicato il 04 maggio 2013 alle ore 08:24.

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NEW YORK
Il cerchio delle inchieste si chiude attorno a JP Morgan. L'ultima authority federale e prendere di mira la grande banca americana e il suo chief executive Jamie Dimon, ancora un anno fa il più celebrato e potente banchiere a Wall Street, è forse tra le meno note, la Ferc. Ma è un organismo tutt'altro che secondario: pattuglia i giganteschi mercati dell'energia e ha inviato al colosso bancario nientemeno che una Wells Notice, la notifica formale di accuse di manipolazione dei prezzi e false dichiarazioni che potrebbero far scattare sanzioni.
La banca è ormai sotto inchiesta da parte di un'armata di una decina di Authority compresa la Federal Reserve, per vicende vecchie e nuove: dalle perdite sui derivati a Londra a complotti internazionali per truccare il Libor, l'indicatore di riferimento dei tassi di interesse; dal riciclaggio di denaro alla gestione delle carte di credito fino a mancati allarmi per lo scandalo del secolo, la truffa ai danni degli investitori orchestrata da Bernard Madoff. L'azione promossa dalla Federal Energy Regulatory Commission è emblematica di un giro di vite con pochi precedenti per una grande banca: stando a documenti ottenuti dal New York Times e dal Wall Street Journal, le autorità sospettano “schemi di manipolazione” capaci di trasformare “centrali in perdita in centri di profitto” e di alterare i prezzi di contratti energetici con stati quali California e Michigan, gonfiando i pagamenti richiesti. Il responsabile delle commodities, Blythe Masters, e tre suoi trader sono inoltre sospettati di aver mentito sotto giuramento nel descrivere la strategie, nonostante JP Morgan neghi ogni addebito. La crisi di reputazione di JP Morgan non minaccia oggi la stabilità dei mercati, come oltre dieci anni or sono i crack per i bilanci truccati di società quali Enron e WorldCom. Ma minaccia di sicuro le poltrone di Dimon e dei vertici del gruppo. Durante un incontro a New York con i vertici della banca l'Office of the Comptroller of the Currency, una delle authority di controllore delle banche, ha avvertito Dimon il mese scorso: l'istituto sta perdendo rapidamente credibilità a Washington. Anche la Federal Reserve ha alzato il tiro: i suoi più recenti stress test hanno promosso solo con riserva JP Morgan, mettendo in chiaro la scarsa fiducia riposta nei top executive. Ancora: le autorità stanno bloccando o ritardando nuovi progetti della banca, stando al Journal sarebbero almeno 60 nella sola divisione al dettaglio. Dimon ha frenato ipotesi di espansione internazionale e dirottato centinaia di dipendenti a lavorare alla risposta alle autorità. Il primo momento della verità, per Dimon, potrebbe tuttavia arrivare il 21 maggio non davanti alle autorità ma al cospetto dell'assemblea annuale degli azionisti, in programma a Tampa in Florida. Dimon è alla guida di JP Morgan dal 2005, il più longevo tra i grandi banchieri americani, sopravvissuto alla crisi del 2008 e capace in passato di trasformare JP Morgan nella banca modello per solidità. I rischi costati cari e gli errori di gestione si sono però moltiplicati negli anni successivi, simboleggiati dagli oltre sei miliardi bruciati da scommesse su derivati europei fatte scattare tra scarsi controlli da un trader soprannominato London Whale, la balena di Londra. Le pressioni per svolte al vertice si sono intensificate e potrebbero ora dominare l'assemblea annuale: è in programma un voto consultivo per separare le due cariche di Dimon, amministratore delegato e presidente. Un voto, cioè, che potrebbe sconfessare e dimezzare l'ex re di Wall Street.
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