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Questo articolo è stato pubblicato il 12 maggio 2013 alle ore 16:24.

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Un'ulteriore accelerazione che proprio non ci voleva. Solo a marzo di quest'anno come ha comunicato l'altro ieri Banca d'Italia, i prestiti delle banche alle imprese sono calati di ben 10 miliardi. Un record negativo conseguito in soli 30 giorni. Se a febbraio lo stock dei crediti alle imprese era a 865 miliardi, a marzo se ne sono persi altri 10, facendo così scendere il totale del portafoglio impieghi a 855 miliardi. C'eravamo abituati a una continua restrizione del credito, ma certo il dato del marzo scorso è più che inquietante. Nei mesi scorsi il ritmo del calo dei prestiti viaggiava a una media di 3-4 miliardi al mese. Con marzo si è aperta una voragine. E i dati visti sul medio termine dicono che il credit crunch in Italia non è mai stato così severo.

Peggio del 2009
La contrazione infatti è ormai da tempo ben peggiore di quella del 2009, quando la recessione produsse un calo del Pil del 5%. Ora dopo una caduta della ricchezza del 2,4% nel 2012 e una previsione di calo del Pil dell'1,3% per quest'anno siamo ben oltre la linea di guardia. Basti pensare che da fine del 2011 sono venuti a mancare al mondo produttivo prestiti per la bellezza di 40 miliardi su uno stock di 895 miliardi. In termini percentuali l'erosione è stata di oltre il 4%. Un dato che non si è visto nemmeno durante la terribile recessione del 2009. Se poi aggiungiamo alle imprese le famiglie, la contrazione del credito, sempre dalla fine del 2011, è di 52 miliardi su uno stock di prestiti complessivo di 1.500 miliardi. Mai stretta creditizia fu più severa.
Ma dal 2009 è mutato lo scenario. Soprattutto per le banche che hanno visto salire vertiginosamente le sofferenze, cioè i prestiti destinati a non tornare nelle casse degli istituti del credito. A marzo del 2013 infatti le sofferenze lorde hanno toccato l'ennesimo record a quota 131 miliardi. Erano 60 miliardi nel 2009. Un raddoppio secco dei crediti a rischio che ha portato le banche a chiudere letteralmente i cordoni della borsa. E più si chiudono i rubinetti all'economia reale più la recessione chiama altra recessione. Un circolo vizioso che sta attanagliando in una morsa sempre più terribile il Paese. Le banche infatti preferiscono fare attività finanziaria piuttosto che fare le banche, cioè trasferire soldi dai depositi ai prestiti. Meno rischioso per i banchieri investire in titoli di Stato italiani che non in prestiti. Le banche hanno fatto il pieno di BTp, grazie anche ai finanziamenti all'1% da parte della Bce. Soldi a pioggia (250 miliardi) finiti nelle casse degli istituti che sono stati usati per comprare a piene mani titoli del debito pubblico. Dalla fine del 2011 il portafoglio investito in titoli di Stato italiani è salito di ben 150 miliardi e quello totale investito in bond è salito di 220 miliardi. Nulla è finito all'economia reale. Ma se questo circuito perverso (le banche non prestano più soldi e preferiscono fare speculazione finanziaria) non si sblocca allora la tenaglia della stretta creditizia diverrà un abbraccio mortale.

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