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Questo articolo è stato pubblicato il 27 maggio 2013 alle ore 06:43.

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Alberto Ronchetti
Le obbligazioni emesse dalle aziende – gli high yield e i corporate bond – negli ultimi quattro anni sono stati uno dei migliori investimenti di portafoglio, con rendimento annuale attorno al 22% e bassa volatilità.
Ma oggi, con i rendimenti vicini ai minimi e i prezzi sui massimi, convengono ancora? Secondo James Keenan, responsabile del Leveraged Finance Group di Blackrock, la risposta è affermativa. «Negli ultimi anni – spiega – gli high yield hanno riconosciuto agli investitori circa l'80% del rendimento delle azioni con circa la metà della volatilità. Di conseguenza questo tema ricopre ancora un ruolo centrale come opportunità di diversificazione del portafoglio».
I corporate, secondo i gestori, restano quindi una buona opportunità. A patto che il rendimento sia interessante. D'altra parte, osservano in una nota Richard Woolnough e Gordon Harding di M&G Investments, «in periodi di forte tensione il fatto che che alcune obbligazioni societarie offrano rendimenti inferiori a quali del debito sovrano dei rispettivi Paesi esprime una reazione perfettamente razionale dei mercati, come dimostrano gli eventi europei degli ultimi anni».
Secondo Keenan gli investimenti obbligazionari possono avere ancora un ruolo centrale nei portafogli perchè il prezzo vicino ai massimi non è determinato dalla sopravvalutazione del mercato, quanto piuttosto dai rendimenti dei Treasury vicini ai minimi storici. Inoltre «la gestione del debito aziendale è nettamente migliorata negli ultimi anni: gli investitori oggi sono ben ricompensati rispetto al rischio di fallimento relativamente basso degli high yield». E poi «i ritorni di molti investimenti percepiti come "sicuri" non ricompensano abbastanza gli investitori: anche l'ultimo rifugio sicuro, cioè il contante, oggi offre un rendimento negativo al netto dell'inflazione».
A favore delle obbligazioni societarie vi è anche un ragionamento, fatto da Wollnough, secondo cui «le società veramente globali, con asset esteri significativi e flussi di utili diversificati, sono soggette a un rischio Paese meno specifico rispetto a uno Stato i cui introiti vengono generati solo internamente. Inoltre, la gestione di queste multinazionali da parte degli azionisti potrebbe essere persino più prudente delle politiche governative».
Nel mondo reale gli esempi non mancano: fra questi Johnson & Johnson, il cui rating AAA/Aaa è superiore alla AA+/Aaa degli Stati Uniti. Il merito di credito della società americana riflette flussi di reddito robusti e piuttosto diversificati rispetto al debito in circolazione, ma anche una gestione prudenziale e il solido quadro normativo statunitense a tutela dei diritti di proprietà.
«Negli ultimi anni – dice Wollnough – le obbligazioni societarie hanno messo a segno performance incredibili. Una sinergia di fattori, quali crescita fiacca, crisi del debito sovrano europeo e massicce misure di quantitative easing a livello globale, ha fatto scivolare i rendimenti dei titoli di Stato ai minimi storici. Nel contempo i differenziali di credito dei corporate bond hanno subìto una forte contrazione rispetto agli impressionanti livelli del 2009. Di conseguenza, alcuni titoli investment grade hanno conseguito performance annualizzate a due cifre, anche se nei periodi di avversione al rischio si è registrata una certa volatilità degli spread».
Detto tutto ciò, quale può essere una ragionevole percentuale obbligazionaria da avere in portafoglio? Secondo Alida Carcano di Valeur Investments (vedi intervista a fianco per le argomentazioni sui titoli da scegliere), «fatto cento la parte obbligazionaria dell'investimento globale, a questa tipologia di titoli assegnerei un terzo circa. Dopodichè, ragionando in modo complessivo, oggi non credo sia il momento di prendersi grandi rischi inseguendo il capital gain, quindi il mio suggerimento è di investire il 30% in azioni e il 70% in obbligazioni, con però il 30-40% trasversalmente investito in valute a potenziale crescita».
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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