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Questo articolo è stato pubblicato il 30 maggio 2013 alle ore 06:45.

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Questioni da risolvere l'Opec ne avrebbe parecchie. Ma al prossimo vertice, che si terrà domani a Vienna, sembra che verranno tutte di nuovo accantonate. A giudicare dalle dichiarazioni della vigilia, l'Organizzazione degli esportatori di greggio non dovrebbe modificare il tetto di produzione, né prepararsi a farlo, nonostante il successo dello shale oil statunitense rischi di creare un eccesso di offerta sui mercati.

Anche il problema della redistribuzione delle quote tra i Paesi membri, di cui il Cartello discute inutilmente da anni, difficilmente troverà una soluzione, benché l'urgenza stia crescendo, in vista di un possibile calo del prezzo del barile, che costringa l'Opec all'azione. Infine, sembra improbabile che dalla riunione di Vienna emerga il nome del nuovo segretario generale, che avrebbe dovuto essere designato a fine 2012: se ne parlerà senz'altro, dicono i delegati, ma se va bene ci si accorderà sui criteri di scelta, rinviando un'altra volta l'annosa questione, che si è caricata di una forte connotazione politica: candidati a succedere al libico Abdullah El Badri (prorogato nella carica) sono un saudita, un iraniano e un iracheno. Riad non si piegherà di buon grado a lasciare il passo al "nemico" di sempre, Teheran, né sarebbe felice di affidare la guida dell'Opec a Baghdad, concorrente sempre più temibile, per via della sua produzione in forte crescita.

Il ministro saudita del Petrolio Ali Al Naimi è arrivato a Vienna in anticipo, ostentando buon umore. «Lasciatemi dire che quelle attuali sono le migliori condizioni per il mercato. L'offerta è abbondante, c'è una grande domanda, le scorte sono equilibrate». Affermazioni che vengono interpretate come il sigillo definitivo all'esito che già sembrava scontato: "roll over", ossia conferma del tetto ufficiale di produzione, stabile da gennaio 2012 a 30 milioni di barili al giorno. Proprio grazie a Riad – che ha ridotto il suo output a 9,3 mbg rispetto al record di oltre 10 mbg di un anno fa – l'Opec è d'altra parte già molto vicina a quel livello produttivo: in aprile ha estratto 30,46 mbg. Nel secondo semestre, inoltre, prevede che il fabbisogno del suo greggio non si discosti molto da quanto è in grado di offrire oggi.

Con il Brent tuttora oltre 100 dollari al barile (ieri ha chiuso a .... $), nemmeno il Venezuela, tradizionalmente tra i "falchi" dell'Opec, si appresta a chiedere tagli di produzione. Questo almeno è quanto ha anticipato il ministro Rafael Ramirez, prima di lasciare Caracas alla volta della capitale austriaca.
Almeno sui livelli produttivi, la discussione non dovrebbe quindi essere troppo accesa. A meno che, rigorosamente dietro le quinte, qualcuno tra i membri dell'Opec non suggerisca viceversa un forte aumento di produzione: una mossa del genere – che solo i Paesi del Golfo Persico sarebbero in grado di sostenere economicamente – potrebbe far crollare le quotazioni del greggio, spiazzando la concorrenza degli Stati Uniti. L'estrazione di shale oil è infatti tra le più care del mondo: gli analisti di Sanford C. Bernstein stimano che il costo marginale dei produttori Usa si sia impennato l'anno scorso fino a 114 $/bbl, dagli 89 $ del 2011. Per i produttori non Opec in generale il costo marginale tra il 2011 e il 2012 è salito da 92,3 a 104,5 $/bbl. Non sarebbe più soltanto l'Opec, insomma, a volere prezzi a tre cifre.

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