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Questo articolo è stato pubblicato il 05 giugno 2013 alle ore 07:13.

Si chiama «Beer index», ma non è un catalogo speciale dove sono classificate le birre più gustose del mondo. Però può creare lo stesso un pericoloso mal di testa agli investitori che di questi tempi dovessero farne uso smodato. Già, perché «Beer» non è in fondo altro che l'acronimo delle parole anglosassoni Bond Equity Earnings Yield Ratio, un indicatore al quale qualcuno a Wall Street ha dato una rispolverata, come si fa per le bottiglie d'annata, e ha iniziato a osservare da vicino per capire se acquistare o no azioni.

Il Beer index mette infatti a confronto il rapporto fra l'attuale tasso di interesse del Treasury (il titolo di Stato Usa) a 10 anni e il cosiddetto rendimento degli utili delle società quotate sul listino di New York. Quest'ultimo non è altro che il reciproco di un altro indicatore molto familiare a chi investe, cioè il rapporto fra prezzo e utili (p/e o «price earning»). Ebbene, il fatto che il rendimento del T-Bond sia inferiore all'earning yield, cioè il Beer index sia sotto quota 1, può essere interpretato come indice di sottovalutazione delle azioni rispetto ai bond e quindi come un segnale di acquisto in Borsa.

Oggi ci troviamo proprio in una situazione simile, perché il rendimento del decennale Usa è al 2,15%, l'earning yield delle aziende quotate a Wall Street è molto più in alto, al 5,21 per cento. Il Beer index è quindi allo 0,42% e qualcuno sostiene addirittura che si trovi ai minimi da 58 anni: un ottimo motivo per comprare a piene mani S&P 500 e Nasdaq, quindi. Se non fosse che il Beer Index sembra secondo diversi pareri avere una capacità predittiva pari a quella di un trader che abbia alzato un po' troppo il gomito.

Uno studio piuttosto approfondito di Doug Ramsey, direttore degli investimenti di Leuthold Group, mostra che dal 1878 ai giorni nostri la regoletta del Beer Index non ha mai funzionato quando il rendimento del Treasury è stato al di sotto del 6%. Questo semplicemente perché solo oltre questa soglia i bond vengono percepiti dagli investitori come concorrenti delle azioni. Per Ramsey sono anzi abbastanza frequenti le «cantonate», come quella dell'agosto 1982 o dell'ottobre 1990 quando, alla vigilia di due dei maggiori rally di Wall Street, il confronto indicava le azioni come sopravvalutate. Oppure del febbraio 2008, quando il Beer Index era abbondantemente sotto la fatidica soglia 1 e il mercato ha ugualmente perso il 50% nei 12 mesi successivi.

Del resto non bisogna essere necessariamente degli analisti per capire che un riallineamento del rapporto verso quote più vicine alla media storica non avviene necessariamente grazie a una crescita dei prezzi delle azioni (che riduce il denominatore e quindi fa aumentare il rapporto), ma anche attraverso un aumento dei rendimenti del T-Bond (e quindi del numeratore) che non è certo un segnale rialzista per Wall Street. O anche per via di una diminuzione degli utili societari, che è un evento di solito altrettanto negativo per l'equity.

Se è vero insomma che «chi beve birra campa cent'anni», come ci ricordava Renzo Arbore in uno spot di qualche anno fa, è anche evidente che un utilizzo smodato del Beer Index può portare a pericolose sbandate. Soprattutto in Borsa.

m.cellino@ilsole24ore.com

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