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Questo articolo è stato pubblicato il 10 giugno 2013 alle ore 15:13.

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"Il futuro è di chi fa": è questo il leit-motiv con cui la divisione corporate di Bpm (l'area specializzata nei rapporti con le imprese) ha lanciato la sfida alla crisi. Oltre 250 tra dirigenti e operatori della banca milanese si sono riuniti per confrontarsi sulla stretta del credito e sulle strategie da adottare per evitare che alle aziende clienti vengano a mancare flussi di risorse oggi più che mai importanti. Proprio questo del resto è il messaggio dello slogan "Il futuro è di chi fa": non fermarsi davanti alle incertezze e alle difficoltà del momento e anzi colmare se possibile gli spazi di mercato lasciati aperti dal credit crunch. Per la Banca Popolare di Milano, una delle più importanti in Italia e tra i leader nel Nord-Ovest, non è una sfida di poco conto: la banca, che conta su una rete di 769 sportelli (concentrati tra Milano, Bologna, Roma e Foggia), ha oltre 1,4 milioni di clienti tra retail e corporate e svolge quindi un ruolo fondamentale nel supporto al sistema economico e industriale non solo lombardo.

Il confronto tra i dipendenti della divisione corporate si è svolto in una due giorni a porte chiuse, ma ha avuto anche un momento di discussione "aperta" con una tavola rotonda a cui hanno partecipato studiosi, imprenditori, manager e consulenti: l'amministratore delegato di Coccodì (il leader italiano nella produzione di uova) Giampietro Seghezzi, il Ceo del gruppo Duferco (trading di acciaio) Antonio Gozzi, il numero uno del Fondo Ambienta Sgr Nino Tronchetti Provera, l'ad di Bain & Company Italy Giovanni Cagnoli e il prorettore per l'internazionalizzazione dell'Università Bocconi di Milano Stefano Caselli. Dalla discussione è emerso che ricette uniche per riavviare il credito non esistono, che per l'Italia è fondamentale il ritorno alla crescita e che il nodo principale che frena la concessione del credito resta la scarsa patrimonializzazione delle piccole e medie imprese.

Per sbloccare il mercato, comunque, sarebbe importante procedere su tre direttrici: le banche dovrebbero fare di più per la patrimonializzazione aiutando le imprese ad aumentare il capitale e a ridurre il livello di indebitamento; gli imprenditori dovrebbero concentrarsi subito sul modo migliore per rafforzare il capitale (anche con il ricorso al private equity); la creazione di una civiltà del credito con un dialogo costante e costruttivo tra tutte le parti coinvolte nella catena del creditio: associazioni di imprese, banche, Stato.

Un ruolo fondamentale per conseguire l'obiettivo, resta comunque lo sviluppo di un vero mercato dei capitali in Italia: con fondi d'investimenti specializzati si potrebbe bypassare la stretta del credito. Per questo motivo tutti i relatori hanno segnalato la necessità di fondi ad hoc per tutelare pensioni, mutui e consumi. Le banche, infine, ritengono che la sicurezza maggiore per ottenere credito dipenda molto dall'apertura internazionale delle imprese. Le imprese sul mercato internazionale sono strutturate meglio perché non dipendono dal mercato italiano che invece è "morto" sotto il profilo dei consumi; e sarà di vitale importanza lavorare con le aziende che fanno sviluppo e crescono fuori dal continente europeo. L'Europa non è un'area in crescita e aiutare l'imprenditore con un sistema bancario presente sui mercati esteri può fare la differenza. La migliore difesa per le banche sarà la presenza di una rete di sportelli all'estero così che il radicamento sul terreno internazionale possa mettere più a riparo la propria etichetta corporate. L'Italia è il quarto paese per aziende leader nel mondo: una grande realtà, però, che non si è ancora in grado di sostenere. A supportare i mercati dei capitali all'estero oggi potrebbero esserci i fondi minibond.

Ma, le piccole e medie imprese si trovano di fronte a uno scenario difficile perché non possiedono quelle caratteristiche tali per essere sostenute dal nuovo fondo minibond. Tuttavia, per non mettere a repentaglio la loro sopravvivenza, le Pmi continuano a resistere e a promuovere operazioni di patrimonializzazione in base alle proprie capacità di rispettare gli impegni contrattuali e all'attitudine della propria funzione di solvibilità.

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