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Questo articolo è stato pubblicato il 01 luglio 2013 alle ore 06:42.

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Nuovo rallentamento dell'economia mondiale, tassi ai minimi, forte volatilità dei mercati, aumento delle tipologie e delle quantità di rischio presenti nelle attività obbligazionarie. Non è certo il migliore dei mondi possibili per chi deve prendere decisioni di investimento, magari considerando un bilancio familiare meno florido rispetto a qualche anno fa. Anche per questo motivo la caccia al rendimento diventa sempre più difficile e nasconde nuove insidie per il risparmiatore.
Oltre alla complessità dello scenario, pesa la presenza di spinte contrapposte e tra loro non componibili. Da un lato, l'investitore privato avverte in modo cogente l'esigenza di non mettere a repentaglio il suo capitale. Dall'altro, si fa sempre più pressante la necessità di rimpinguare le entrate familiari accrescendo il ritorno dell'investimento. Mission impossible. Sicurezza elevata (ma pur sempre in termini relativi) e alte cedole non vanno d'accordo, anche perché il comparto obbligazionario sta vivendo un momento particolare. L'aspetto più impressionante di questa stagione, messo in luce da uno studio realizzato da Amundi Am che Il Sole 24 Ore presenta in anteprima, è costituito dalla forte concentrazione dei rendimenti più interessanti all'interno di poche famiglie di titoli, il cui peso risulta minoritario nel grande universo obbligazionario. Il fenomeno, inoltre, è in rapida e costante crescita negli ultimi anni.
«In tutto il mondo - spiegano Sergio Bertoncini e Bastien Drut, i due autori della ricerca - i ritorni si trovano vicini ai livelli minimi, ma dove sono concentrati i restanti rendimenti? E in quali settori? Abbiamo identificato gli high yielder in quattro segmenti: i titoli sovrani periferici dell'Eurozona, i bond corporate con rating BBB, le obbligazioni high yield mondiali e infine i bond dei Paesi emergenti».
Si tratta di un primo aiuto prezioso per il risparmiatore, utile a capire in quale direzione guardare durante l'impegnativa caccia ai rendimenti. L'indicazione tuttavia non esaurisce il tema: resta infatti da misurare l'effettiva ampiezza della scelta. L'offerta di rendimenti generosi sembra infatti tutt'altro che abbondante sia in termini numerici sia quantitativi e l'impressione risulta confermata dai dati, che danno efficacemente l'idea dei processi di concentrazione. «In sintesi - riprendono Bertoncini e Drut - i quattro segmenti più interessanti del mercato rappresentano solo il 18% del debito globale, ma realizzano circa il 40% dei rendimenti disponibili. Se poi non si considerano i bond nei portafogli delle Banche centrali dei Paesi sviluppati, la concentrazione sale al 43%». Per avere un confronto utile a misurare l'evoluzione sul medio periodo, si può considerare che il peso dei quattro segmenti in questione ammontava al 35% un anno fa e al 25% due anni or sono.
Secondo stime della Bank of America, il mercato obbligazionario globale vale 45mila miliardi di dollari, in larga misura derivante da emissioni di qualità. In particolare, le emissioni con rating a tripla e doppia A valgono circa il 75% del totale, mentre i titoli con rating a singola A e tripla B rappresentano rispettivamente il 10 e il 15 per cento. Se a questo universo si aggiungono le obbligazioni high yield e il debito emergente il volume raggiunge i 49mila miliardi di dollari. «I titoli di elevata qualità - precisa lo studio Amundi - restano prevalenti (69%) e offrono a scadenza un rendimento medio dell'1,25 per cento. Tra i bond di minore qualità, le obbligazioni con rating BBB offrono un rendimento medio a scadenza vicino al 3%, le emergenti toccano il 4% e le high yield raggiungono il 5,5%».
Ma il vero driver di queste settimane, che si sovrappone ai trend di lunga durata, è naturalmente l'approssimarsi di un ridimensionamento del programma di allentamento quantitativo negli Usa. Questo ha incrementato la volatilità su tutti i mercati e comportato perdite sui titoli azionari e obbligazionari a metà maggio. «Una variazione del contesto di politica monetaria non implicherebbe semplicemente un sell off delle obbligazioni e un rally azionario - spiega Chris Iggo, chief investment officer di Axa -. L'aumento dei tassi implica la diminuzione dei prezzi per tutti gli asset, almeno per un certo periodo di tempo. Una delle mie preoccupazioni riguarda la disconnessione tra i prezzi e una ripresa ancora molto anemica. Se Bernanke placherà il nervosismo suggerendo che la liquidità continuerà a fluire per un certo periodo di tempo, prevedo che gli attivi rischiosi registrino ancora buoni risultati, includendo le azioni. Alcuni dei flussi del comparto osservati nelle ultime settimane, obbligazioni high yield ed emerging market per esempio, subiranno probabilmente un'inversione. Gli investitori avranno però avuto modo di vedere che aspetto ha la fine di un quantitative easing. È stato un preludio al vero evento, anche se tale evento è ancora lontano».
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