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Questo articolo è stato pubblicato il 06 luglio 2013 alle ore 08:44.

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Avrebbe potuto essere la tempesta perfetta per l'oro, se non fosse stato per i dati da Hong Kong, che hanno rivelato una passione immutata dei cinesi per il lingotto: le importazioni di Pechino si sono impennate del 35,8% in maggio, al netto dell'export, raggiungendo 108,8 tonnellate, una quantità superata solo una volta nella storia (lo scorso marzo con 136,2 tonn).
Senza questa notizia le quotazioni dell'oro sarebbero forse crollate in modo ancora più rovinoso. Le vendite sono state comunque pesanti, con ribassi che hanno superato il 3%, fino a 1.212,70 dollari l'oncia, una trentina di dollari sopra il minimo triennale toccato la settimana scorsa.
Il catalizzatore sono stati i dati sull'occupazione negli Usa, risultati migliori del previsto non solo per giugno, ma anche per i due mesi precedenti, che hanno subito revisioni al rialzo. Per i mercati si è trattato di un messaggio forte e chiaro: la Federal Reserve non indugerà a lungo nel ridurre il riacquisto di bond. Analisti di Goldman Sachs e JpMorgan hanno anche indicato una data per il probabile avvio dell'uscita dal quantitative easing: settembre.
I rendimenti di tutte le principali scadenze dei titoli di Stato americani sono schizzati a livelli che non si vedevano dall'estate 2011. E l'oro – ovviamente, verrebbe da dire – è andato a picco. L'incentivo a tenere in portafoglio un asset che non paga interessi sta infatti scomparendo.
Incentivi a vendere il metallo giallo arrivano anche dalla forza del dollaro, ieri al record da tre anni rispetto a un paniere di valute e pronto probabilmente a salire ancora, visto che – mentre la Fed si appresta a tirare i remi in barca – la Banca centrale europea e la Bank of England (per non parlare delle autorità monetarie giapponesi) hanno invece segnalato che proseguiranno a lungo le politiche iperespansive. Il rischio inflazione, intanto, dal quale l'oro offre protezione, resta molto basso su entrambe le sponde dell'Oceano Atlantico e i listini azionari corrono, distogliendo ulteriormente l'interesse degli investitori dal metallo, come dimostra la fuga ininterrotta di capitali dagli Etf sull'oro: gli asset in gestione, secondo Blackrock, da gennaio sono calati di un terzo, ossia 28,2 miliardi di $.
Anche la domanda fisica vacilla, in particolare in India, Paese che è il primo consumatore mondiale di oro. Le rigide misure varate da New Delhi per arginare l'import – che minacciava la bilancia commerciale del Paese – stanno avendo effetto: la All India Gems & Jewellery Trade Federation stima che le importazioni in giugno siano scese a 37-40 tonnellate, contro una media mensile di 70, e si aspetta che nel 2° semestre l'import si riduca di un quarto rispetto alla prima metà dell'anno.
Persino la Cina potrebbe rivelare sorprese negative. Le importazioni di maggio sono probabilmente l'onda lunga del primo crollo delle quotazioni aurifere, avvenuto a metà aprile. Ma oggi l'interesse appare più tiepido e la stretta creditizia in corso nel Paese potrebbe frenare gli acquisti.
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