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Questo articolo è stato pubblicato il 31 luglio 2013 alle ore 07:16.

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Uralkali (Reuters)Uralkali (Reuters)

Immaginate che cosa succederebbe sul mercato del petrolio se da un giorno all'altro l'Arabia Saudita decidesse di lasciare l'Opec. Ebbene, qualcosa di simile è accaduto nel mondo del potassio, uno dei fertilizzanti più utilizzati in agricoltura in ogni regione del pianeta: un mondo in cui i maggiori fornitori avevano un controllo quasi assoluto su produzione e prezzi.

A dare una clamorosa spallata al «cartello del potassio» ci ha pensato la russa Uralkali, annunciando ieri l'uscita dalla Belarusian Potash Company (Bpc), la maggiore delle due joint venture che dominano il commercio globale del fertilizzante, stabilendone il prezzo attraverso i contratti di fornitura siglati con i grandi utilizzatori cinesi e indiani (prezzo che viene poi imposto anche ai nostri contadini) e limitando l'offerta quando la debolezza dei consumi minaccia le loro entrate.

Uralkali afferma che la collaborazione con l'altro socio di Bpc, la bielorussa Belaruskali, è «arrivata a un punto morto» dopo che questa ha smesso di vendere esclusivamente attraverso la joint venture. Di qui la decisione di fare da sé. La società russa non solo gestirà in proprio la commercializzazione del potassio, mediante la controllata svizzera Uralkali Trading, ma è ben decisa ad espandere le vendite dagli attuali 10,5 milioni di tonnellate l'anno a 13 milioni nel 2014 e 14 milioni nel 2015. Un aumento dei volumi necessario a compensare la caduta dei prezzi, che secondo il ceo Vladislav Baumgertner sarà in tempi brevi di almeno il 25%: dagli attuali 400 $/tonn, prevede il manager, si arriverà a 300 $ già nel secondo semestre 2013, anche se difficilmente si potrà scendere sotto 200 $, perché questo è il costo di produzione di alcuni fornitori internazionali (Uralkali gode invece dei costi più bassi del mondo, intorno a 60 $/tonn).

L'altra joint-venture – la nordamericana Canpotex, che con Bpc (la cui quota di mercato era del 43%) riusciva a controllare quasi due terzi delle forniture mondiali di potassio – è ancora in piedi. Ma i suoi soci, Potash Corp of Saskatchewan, Agrium e Mosaic, sono già stati travolti dalla novità. A Wall Street hanno subìto perdite in alcuni casi superiori al 20%, bruciando circa 14 miliardi di capitalizzazione. Analoga sorte è toccata alla stessa Uralkali e a tutti i produttori minori, come la tedesca K+S e l'israeliana Icl, precipitate a minimi pluriennali in Borsa.

Il settore era già in difficoltà, a causa della domanda ridotta di fertilizzanti (soprattutto da parte dell'India, alle prese con una valuta sempre più debole) e del livello molto elevato delle scorte in Cina e in Nord America. Non più tardi della settimana scorsa Potash Corp aveva ridotto del 20% le sue previsioni sugli utili 2013. La mossa di Uralkali, tuttavia, sta provocando uno scossone che nessuno aveva previsto, capace addirittura di incidere sul Pil canadese, secondo gli analisti della banca Cibc.

Di sicuro molti progetti minerari rischiano a questo punto di essere cancellati, a cominciare dall'ambizioso piano con cui Bhp Billiton punta a sviluppare il deposito canadese di Jansen, che entro il 2017 potrebbe diventare la maggiore miniera di potassio del mondo, con 8 milioni di tonnellate l'anno di capacità: il gruppo si era impegnato a decidere sull'investimento, da almeno 14 miliardi di dollari, nell'anno fiscale iniziato il 1° luglio. che è appena iniziato dovrà dare via libera la decisione finale di investimento er sviluppare il deposito canadese di Jansen: la decisione finale di investimento.

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