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Questo articolo è stato pubblicato il 01 agosto 2013 alle ore 07:29.

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Il terremoto provocato da Uralkali nel settore dei fertilizzanti è appena cominciato. Le scosse sono proseguite anche ieri, in Borsa – dove ci sono stati ulteriori pesanti ribassi per tutti i produttori di potassio – e nelle sale riunioni di decine di società, costrette a ripensare radicalmente i propri piani di investimento, di vendita o viceversa di approvvigionamento.
L'uscita dei russi dal maggiore dei due cartelli che controllavano il mercato del potassio, la Belarusian Potash Company (Bpc), ha improvvisamente liberato il mercato e secondo la stessa Uralkali potrebbe abbattere il prezzo del fertilizzante del 25% entro fine anno: un grande vantaggio per gli importatori, a cominciare da Cina e India – che rappresentano un terzo della domanda mondiale e che dal prossimo mese dovrebbero rinegoziare i contratti di fornitura – ma anche una mina per i bilanci dei produttori e in generale un enorme grattacapo per chi si muove sul fronte dell'offerta e che aveva fatto i conti con un'evoluzione diversa dei prezzi. Tra questi c'è anche Bhp Billiton, che deve decidere se dare via libera a un investimento da 14 miliardi di $ per sviluppare l'enorme miniera di potassio di Jansen, in Canada.
«Il mercato si sta concentrando solo sugli aspetti negativi, mentre trascura del tutto gli effetti positivi della nostra strategia», ha osservato il ceo di Uralkali, Vladislav Baumgertner, intervistato da Bloomberg Tv. «I nuovi prezzi avranno sì un effetto negativo sui produttori marginali, costringendo alcuni di loro a chiudere operazioni, ma nel medio-lungo termine questo sarà positivo per il bilancio domanda-offerta dell'industria del potassio».
Sui motivi dell'improvviso addio alla Bpc, Baumgertner ha ribadito che il primo a rompere gli accordi, effettuando vendite autonome, è stato il socio Belaruskali. «Avevamo paura che potessero negoziare un accordo separato con i cinesi, a un prezzo molto basso. Hanno costi di produzione ridotti e possono permetterselo», ha detto il ceo. «Immagino che adesso accelereranno la produzione e aumenteranno le spedizioni ovunque, soprattutto nel mercato più vicino, quello europeo, cosa che potrebbe causare problemi a produttori come K+S».
Nella Bpc Uralkali non rientrerà mai più, assicura Baumgertner, ma con la Reuters apre alla possibilità di tornare a collaborarvi, magari creando insieme una società di trading in Svizzera. Prima bisognerà tuttavia riallacciare i rapporti: sull'uscita da Bpc «Uralkali non ci aveva consultato», afferma Belaruskali in un comunicato, aggiungendo di avere l'intenzione continuare a utilizzare la società per l'export di potassio.
Stando alle prime dichiarazioni dalle società nordamericane che ne fanno parte – Potash Corp. of Saskatchewan, Agrium e Mosaic – non cambierà nulla neppure in Canpotex, l'altro «cartello» di fornitori di potassio, cui fa capo il 38% della capacità di produzione mondiale, ma solo il 25% dei mercati di esportazione. «Canpotex continuerà a fare quello che ha sempre fatto – assicura Larry Stranghoener, direttore finanziario di Mosaic – È un'organizzazione di grande valore sia per i suoi membri che per i clienti».
In Cina e in India, intanto, le società del settore – spesso a controllo statale – hanno convocato riunioni d'urgenza per valutare l'impatto delle novità. «Ci rafforzerà nei prossimi negoziati per le forniture», afferma con sicurezza Kong Xuan, investor relation officer di Sinofert, il maggior distributore cinese di fertilizzanti, che guida le trattative con Sinoagri. «Penso che i venditori accetteranno le nostre richieste di riduzione dei prezzi», gli fa eco dall'India U.S.Awashti, managing director della Indian Farmers Fertiliser Cooperative (Iffco).
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