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Questo articolo è stato pubblicato il 11 agosto 2013 alle ore 08:26.

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Roman Zaleski (Imago)Roman Zaleski (Imago)

La risposta della Carlo Tassara a UniCredit è arrivata negli uffici della banca venerdì sera. Entro il termine perentorio del 9 agosto fissato dall'istituto. Peccato che il contenuto della missiva, a quanto si apprende da fonti legali, sia del tutto insoddisfacente. Ossia non risponde positivamente a due delle questioni chiave sollevate da Piazza Cordusio: la revisione della governance e della ripartizione degli attivi.

Più nel dettaglio, la banca aveva chiesto alla Tassara, al fine di agevolare una più rapida liquidazione del portafoglio, l'impegno a rivedere gli equilibri interni al consiglio di amministrazione con una minore rappresentanza degli interessi dell'azionista e un maggior numero di consiglieri indipendenti. La banca, di fatto, riteneva non sufficiente l'introduzione della cosiddetta «clausola del casting vote» in base alla quale, nell'ipotesi di parità di voti nel consiglio di amministrazione, quello del presidente valeva doppio.
Su questo aspetto, che era un elemento cruciale per la banca, la Tassara non avrebbe di fatto dato alcuna risposta. Per giunta, la holding non si sarebbe espressa nemmeno sull'altro punto chiave degli attivi. Nel nuovo piano di ristrutturazione, infatti, viene esplicitamente previsto che alcuni degli asset non vengano posti in liquidazione (la Metalcam, la centrale elettrica Terzo salto di Esine e alcune altre partecipazioni con valenza principalmente territoriale), quasi a rappresentare, è il pensiero delle banche creditrici, una sorta di liquidazione per Romain Zaleski.

Un aspetto, dicono le banche, assolutamente inaccettabile, considerato che il valore complessivo del portafoglio è ben distante dal complesso dell'esposizione verso gli istituti. Di qui, la decisione di chiedere che quella suddivisione degli attivi, tra asset cedibili e non, venisse modificata lasciando l'intero portafoglio a disposizione di chi si occuperà della liquidazione. Su questo punto, però, la Tassara non si sarebbe apertamente schierata.
Insomma, il tono della missiva non è piaciuto alle banche. E a questo punto, è pensabile che l'intero dossier finisca direttamente nelle mani dei legali. È ancora troppo presto per dire con quale esito. Di certo, se verso fine agosto e inizio settembre gli istituti non rileveranno un'apertura da parte della Tassara a considerare le due condizioni chiave poste da UniCredit, è possibile immaginare che il piano verrà bocciato e dunque è altamente probabile che scatterà la liquidazione «coatta» delle partecipazioni della holding.

La finanziaria, come è noto, è in una fase assai delicata. Il bilancio 2012 non è ancora stato approvato perché, stanti così le cose, non è possibile deliberarlo in ipotesi di continuità aziendale. D'altra parte, i numeri parlano da soli. Ci sono infatti 2,2 miliardi di debiti a fronte di un portafoglio partecipazioni che a stento supera il valore di un miliardo, siamo attorno a 1,2 miliardi. Le quote di spicco sono rappresentate da pacchetti chiave nelle principali realtà italiane: l'1,7% di Intesa Sanpaolo, l'1,42% di Ubi Banca, il 2,5% di A2A, l'1,73% di Cattolica, lo 0,25% della Bpm, l'1,14% di Mps, lo 0,68% di Generali, l'1,17% di Mediobanca e il 19% di Mittel.
Tre di queste «partecipate», ovvero Intesa Sanpaolo, Ubi e Mps, sono anche i principali creditori della Carlo Tassara. Dei 2,2 miliardi di debiti attuali, Intesa Sanpaolo è infatti esposta per 1,2 miliardi. Seguono Unicredit (500 milioni), Mps (200 milioni) e Ubi (150 milioni). Oltre al portafoglio italiano si sommano poi le partecipazioni estere rappresentate dal 12,8% del gruppo minerario francese Eramet, dal 35% della banca polacca Alior Bank e dal 7% di Comilog, una miniera di manganese in Gabon.

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