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Questo articolo è stato pubblicato il 23 agosto 2013 alle ore 06:53.

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Nelle giornate di bonaccia che seguono il Palio dell'Assunta - contrada vittoriosa a parte - a Siena i rumori si attenuano e anche le voci sono più sommesse. «Quello che accade in questo ore è il segno dei tempi, che sono difficili, drammatici, ma non è per forza un male» dice un senese molto influente, che dalle retrovie consiglia chi deve decidere. Attorno alla nomina del nuovo presidente della Fondazione Monte Paschi si sta certamente consumando uno scontro, ma di un sapore del tutto nuovo per una realtà dove per molto tempo ha regnato specie nell'ultimo decennio un pensiero unico che ha prodotto risultati disastrosi sotto gli occhi di tutti. Nella “deputazione” appena uscita e ancora di più in quella precedente i membri arrivavano nelle sale di Palazzo Sansedoni perlopiù con un foglietto in tasca con i nomi già decisi altrove. Da una parte il nuovo statuto della Fondazione, approvato tra la primavera e l'estate scorsa, fissa nuovi e stringenti paletti nel campo delle incompatibilità, e dall'altro i membri appena nominati arrivano anche da realtà distanti dal circuito senese a cui la politica attingeva. Il combinato di questi due elementi di fatto apre il dibattito e stimola il confronto. Rendendo di fatto molto più complessa, ma ora anche interessante, una scelta che alla fine spetta sempre alla politica visto che Comune e Provincia hanno sei voti (anche se tra di loro non la pensano mai allo stesso modo) sugli undici necessari alla delibera. Ma la particolarità è che il nuovo statuto è stato voluto prima di tutti dal presidente uscente – e ora in prorogatio – Gabriello Mancini, storico esponente Pd di derivazione Ppi-Margherita, una componente agguerrita non di rado in polemica con i ben più numerosi ex Ds.
La nomina del nuovo presidente della Fondazione Mps è un passaggio cruciale che giocoforza si intreccia con il piano di risanamento (la fase del salvataggio sembrerebbe superata, Bruxelles permettendo) e graduale rilancio della Banca Monte Paschi, da un anno e mezzo guidata da Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, chiamati ad arginare un naufragio causato dall'acquisizione di Antonveneta a prezzi smodati e modalità discutibili. La Fondazione, per mantenere la maggioranza assoluta nella banca, dal 2008 ha sottoscritto aumenti di capitale tanto da generare un indebitamento-monstre, in parte restituito, ma che ancora risulta a bilancio per 350 milioni. Ora l'ente ha in pancia il 33% della banca – valore 800 milioni circa, rispetto ai 6-7 miliardi di patrimonio di qualche anno fa, altri tempi - un livello da cui dovrà scendere attendendo corsi azionari più accettabili degli attuali nonostante il titolo negli ultimi giorni abbia segnato rialzi importanti. Una missione, quindi, molto diversa dal recente passato, con un tasso di “bancarietà” decisamente molto più ridotto e un ruolo crescente e forse meno dispersivo nel territorio. Ecco quindi che il nome del presidente è decisivo: dovrà perseguire questa prospettiva e condividere con la banca un percorso di accompagnamento al rilancio in armonia con le sensibilità del mercato. Una decisione che tuttavia si innesta in quadro politico davvero complesso. A Siena il sindaco Bruno Valentini - eletto in primavera vincendo le primarie sotto le insegne renziane contro il candidato vicino all'ex sindaco Franco Ceccuzzi, sempre molto influente e pronto a un ritorno sulla scena pubblica – non sembra voler accettare i vari candidati che via via gli vengono proposti dall'altra ala del Pd e non manca di marcare il territorio anche nei confronti del management della banca, in particolare verso Profumo, con cui si sono scambiati battute a distanza sulla quota della Fondazione in Mps a “regime” (il manager ha parlato del 10%) e sull'esistenza di presunti soci esteri pronti ad entrare. Al di là delle schermaglie pubbliche la sensazione in città è che entro martedì o al massimo entro la riunione successiva si vada ad una ricomposizione, ma tutta dentro le mura. Questa volta i leader nazionali ne stanno abbastanza fuori, forse complice il fatto che i due pesi massimi che stanno giocando la partita cruciale dentro il Pd, Enrico Letta e Matteo Renzi, sono entrambi toscani e quindi potenzialmente molto influenti, ma cercano abilmente di rimanere alla larga (perlomeno ufficialmente) dalla partita, così come un altro “pivot” della politica come il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi. Quindi una sintesi dovrà essere trovata tra le varie anime del Pd locale ma tenendo conto che questa volta si dovrà andare verso una “riconciliazione” con i corpi intermedi del territorio, dopo che per anni ogni istanza che veniva dal basso, o anche dall'establishment cittadino estraneo alla politica, non riusciva ad emergere. Lo tsunami che ha colpito la città avrebbe distrutto realtà di dimensioni analoghe (50mila abitanti) ma Siena sta reagendo con forza straordinaria proprio grazie al radicamento profondo delle proprie istituzioni civiche. Dice un alto dirigente bancario, contradaiolo doc: negli anni recenti è stata perseguita una senesità sbagliata della banca, volta a mantenere il 50%, ma è stata dimenticata quella buona, di attaccamento alla sana tradizione che aveva reso ricca Rocca Salimbeni (e tutta la comunità), che avrebbe impedito avventure finanziarie sciagurate.
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Protagonisti
Bruno Valentini Sindaco di Siena
Eletto in primavera vincendo le primarie sotto le insegne renziane contro il candidato vicino all'ex sindaco Franco Ceccuzzi, Valentini non sembra voler accettare i vari candidati che via via gli vengono proposti dall'altra ala del Pd e non manca di marcare il territorio anche nei confronti del management della banca.

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