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Questo articolo è stato pubblicato il 28 agosto 2013 alle ore 08:41.

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Solo se i piani delle case continueranno a salire potremo ancora vedere il cielo. C'è una morale diffusa, di stampo confuciano, che spinge i cinesi ad accettare quella corsa al mattone che tiene la Cina quasi sempre sul filo di una bolla pronta a scoppiare. Se anche un nuovo palazzo ti toglie la visuale dalla finestra di casa, dà un futuro, allarga un orizzonte alla comunità.

Perché «costruire uguale benessere», il che spinge a costruire, costruire ancora, covando quella bolla che il Governo centrale non può permettersi di vedere esplodere: se il mercato del real estate andasse in tilt, trascinerebbe con sé tutta l'economia.
Al contrario ogni mossa, ogni passo falso della borsa, basti pensare al fat finger del caso Everbright, ferisce per prime le quotazioni dei developers. Tutta la crescita economica cinese è legata al mercato del mattone, con le banche che prestano soldi, le autorità locali che vendono altra terra per finanziarsi in una corsa ai prezzi che mette i brividi.
Così l'investimento nel real estate ha toccato il 12,5% del Pil cinese nel 2012, i prezzi per le terre nelle città di prima fascia sono state spinte dai property developers a livelli sempre più alti, proprio perché si pensa che i prezzi delle case e della terra continueranno a crescere.

A Shanghai i prezzi della terra sono cresciuti del 373% nella prima metà dell'anno, la terra per uso residenziale ha toccato il picco più alto degli ultimi cinque anni, il che ha spinto i prezzi ancora più in su, +36,9% anno su anno. A giugno la corsa è continuata: tra le prime 70 città cinesi, ben 63 hanno registrato un aumento dei prezzi.
Pan Wei è un imprenditore che ha deciso di diversificare, è stato un devolper a tutto campo fino a qualche tempo fa: «Non ci sarà mai una bolla immobiliare, in Cina. Impossibile. Nelle grandi città - avverte - i ragazzi dovranno puntare a case più piccole. Nelle città più piccole i costi cresceranno. Ma in maniera più costante. Sono, tutto sommato, ottimista. La bolla proprio non la vedo all'orizzonte».
C'è una categoria sociale, per la verità, alla quale lo scoppio della bolla farebbe comodo: sono i giovani, quelli che vogliono mettere su famiglia oppure che sono costretti a vivere in bugigattoli claustrofobici che chiamano yi ju, case alveari, senza finestre né servizi in una città come Pechino in cui si continuano a vendere a raffica case di lusso, da 5mila euro in su al metro quadro, ad aprile del 2012 erano stati 189 i complessi immobiliari aggiudicati, a novembre 419, a febbraio 2013 erano ancora ben 338.
Case da ricchi, che nessuno, altrimenti, potrebbe permettersi di comprare. Certo, Pechino ha promesso che avrebbe creato 70mila unità abitative calmierate e Shanghai 10mila. Ma chi le ha (ancora) viste? E, soprattutto, come si potrà coniugare l'urbanizzazione con i costi più accessibili delle case destinate ai nuovi immigrati dalle campagne?

A marzo scorso si sono vissuti momenti di panico e il Governo centrale ha spinto Pechino, Shanghai, Chongqing, Tianjin, Shenzhen a darsi da fare per cercare di raffreddare i prezzi, incluso il 20% di tasse per l'acquisto di una seconda casa. Ma non è così semplice, tanto è vero che i prezzi hanno preso a correre ancora e i cinesi si sono messi a trovare escamotage inclusi divorzi fittizi per aggirare i divieti.
La stretta al credito di giugno ha creato poi uno shock nelle banche già restie a far credito ai più giovani e bisognosi, al punto che, una volta tornata la calma dopo una robusta iniezione di liquidità la prima cosa che si è pensato è stato che, forse, tutto ciò avrebbe aiutato il mercato dei mutui per la prima casa.
Ma qualcosa si inizia a imparare dagli errori fatti. Le stesse banche cinesi hanno ridotto i prestiti a progetti di costruzioni in città più piccole, di terza o quarta fascia. Città che pullulano di case invendute, perché appunto la gente emigra nelle grandi città in cerca di una vita migliore. Prima chiedono dove si ha intenzione di costruire, allo sportello. E davanti a questa domanda non basta essere un gigante, del calibro di Wanda group, China Vanke, Country Garden.

Da quattro anni almeno il Governo sta tentando di raffreddare i prezzi, ha ristretto il numero di case acquistabili, ha cercato di tenere a freno i developers più spregiudicati, ma i record restano.
Del resto chi proprio vuole investire ora inizia ad andare all'estero, a Londra, negli Usa. Wanda group nei prossimi cinque anni spenderà dieci miliardi in America. Country Garden, di Guangzhou, si è alleata con la malese Mayland. Vanke ha investito oltre 400 milioni di dollari a Hong Kong con New World Development. Greenland group ha fatto altrettanto con un developer australiano. L'imperativo, per massimizzare i profitti, è diventato uno solo: internazionalizzarsi, seguendo l'invito di Pechino che spinge sempre più le sue aziende al «Go Global».

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