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Questo articolo è stato pubblicato il 31 agosto 2013 alle ore 08:51.
Per la prima volta da due anni è sciopero generale nelle miniere d'oro del Sudafrica: la protesta inizierà martedì e proseguirà a tempo indefinito, con ripercussioni non solo sulle aziende del settore – che stimano perdite complessive per 35 milioni di dollari al giorno – ma potenzialmente anche sulle quotazioni dell'oro, appena tornate sotto 1.400 dollari l'oncia dopo il rally dei giorni scorsi.
Il muro contro muro nelle trattative per i rinnovi contrattuali è sfociato nell'esito che molti si attendevano. D'altra parte le posizioni non potevano essere più lontane: la Camera delle miniere, che negozia per conto delle società aurifere, ha avanzato l'offerta – che definisce irrevocabile – di aumenti salariali del 6-6,5%, mentre i maggiori sindacati insistono per rialzi enormemente più grandi, addirittura del 150% nel caso dell'Amcu, nuova e aggressiva formazione, che sta rapidamente guadagnando consensi. A proclamare lo sciopero è stato comunque il Num, il sindacato storico dei minatori e tuttora il più grande, con oltre metà di iscritti nel settore aurifero, che vorrebbe aumenti del 60 per cento.
L'agitazione – cui aderiranno anche altre sigle (solo una si è chiamata fuori, accettando la proposta delle minerarie) – promette insomma di avere un ampio seguito. Quanto alla durata, il timore è che possa essere ben superiore a quella dello sciopero del 2011. Allora tutto si risolse in 4 giorni, quando le società aurifere accettarono di concedere aumenti superiori all'inflazione.
Le difficoltà del settore impongono adesso un approccio molto più rigido. «Ancor prima di avviare i negoziati – riferisce Mike Fafuli, portavoce del Num – ci hanno detto che non avrebbero concesso più dell'inflazione (che in luglio era del 6,3%, Ndr)». «Tra di noi siamo molto compatti – ha confermato Neal Froneman, ceo di Sibanye – Non si tratta di negoziare per un anno. Intendiamo restare qui a lungo e dobbiamo mettere fine al circolo vizioso di continui aumenti superiori al tasso di inflazione».
Il Sudafrica, un tempo responsabile per quasi l'80% dell'offerta mondiale di oro, oggi conta per appena il 6 per cento. La sua influenza sul mercato, tuttavia, non è irrilevante, spiega Simona Gambarini, analista di Etf Securities. «È comunque un produttore importante e se gli scioperi dureranno a lungo potrebbero senza dubbio aggravare la scarsità di oro che di recente si è venuta a creare sul mercato fisico e che secondo noi è la causa principale della risalita dei prezzi».
In un rapporto appena pubblicato, Gambarini mette in evidenza il comportamento anomalo del Gold forward offered rate (Gofo), il tasso di interesse al quale i partecipanti al London Bullion Market sono disposti a prestare oro in cambio di dollari. Normalmente il tasso è positivo, ma per oltre 7 settimane dall'inizio di luglio – un periodo di durata record – il Gofo a 1 e 3 mesi è rimasto negativo: in pratica chi cede oro per dollari viene pagato, invece di pagare interessi. Il prolungarsi di questa situazione (che ha da poco iniziato ad attenuarsi) è dipesa secondo Etf Securities dalla fortissima domanda di oro fisico in Cina dopo la caduta delle quotazioni del lingotto, unita alla contemporanea diminuzione dell'offerta di oro vecchio. Non a caso nello stesso periodo si è assistito anche a un crollo delle scorte di oro al Comex, finite ai minimi da 6 anni, e a forti flussi di metallo dalla Gran Bretagna verso la Svizzera e dalla Svizzera verso Hong Kong. La chiusura di posizioni sul mercato dei futures e le liquidazioni di Etf avrebbero insomma liberato oro dai caveau, ma solo perché questo prendesse immediatamente la via dell'Asia.
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