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Questo articolo è stato pubblicato il 02 settembre 2013 alle ore 11:21.

In questi giorni il presidente di Telecom Italia Franco Bernabè ha più di un grattacapo da risolvere. Da qui a settembre ci sono una serie di questioni cruciali da definire: assetti proprietari, il ruolo futuro di Telefonica, la struttura finanziaria del gruppo tlc e il destino della Rete. Tutti temi, legati a doppio filo tra loro, che nascono da una esigenza di base: Telecom Italia ha bisogno di un aumento di capitale per rafforzare la struttura patrimoniale. Se poi la ricapitalizzazione diventa il mezzo per far entrare (o rafforzare) un alleato industriale nel capitale di Telecom Italia, tanto meglio.
Telecom Italia ha di recente smentito di avere operazioni di aumento di capitale allo studio. Ma è altrettanto vero che per ora Telecom ha solo evitato il declassamento del debito a "spazzatura" da parte di Moody's che si è limitata a mettere sotto osservazione il rating, con implicazioni negative. Telecom ha ora tre mesi di tempo per mettere in salvo il suo merito di credito: un ulteriore declassamento da parte dell'agenzia significherebbe non essere più considerati come investimento "sicuro" per gli investitori. Il credit watch di Moody's è dunque un avvertimento che pesa. Non foss'altro perché un livello junk, "spazzatura", è un giudizio non proprio onorevole quando si hanno 40 miliardi di debito in bilancio.
Per mantenere l'investment grade l'unica possibilità è legata alla capacità del management di reagire al contesto avverso «attuando misure per rafforzare il bilancio e ridurre i rischi finanziari», dice Moody's. Il tutto in tempi strettissimi. Esclusa dal management la vendita di Tim Brasil e un aumento di capitale tout court, resta sul tavolo l'ipotesi di un aumento di capitale riservato all'ingresso di un investitore industriale. Finora le strade tentate da Bernabè sono andate proprio in quella direzione: ricapitalizzazioni finalizzate ad alleanze industriali, ma pur sempre ricapitalizzazioni.
La proposta di ingresso nel capitale del magnate egiziano Naguib Sawiris era finalizzata a un rafforzamento della posizione in Brasile. Così come la più recente proposta di H3g, questa volta in "natura", era legata a un'ipotesi di consolidamento nel mobile sul mercato domestico. In quest'ultimo caso le significative differenze di valutazione dell'asset italiano, 3, da conferire, hanno stoppato la trattativa, ma è ipotizzabile che i colloqui potrebbero riaprirsi se le rispettive valutazioni si avvicinassero. Tutte ipotesi, certo. Così come, stando a indiscrezioni autorevoli, Bernabè avrebbe preso anche in considerazione il progetto di fusione tra Telecom Italia e Telefonica. Non è andato avanti. Ma a questo punto tutto potrebbe essere rimesso in discussione.
Gli spagnoli rappresentano infatti la pedina chiave intorno alla quale si muove il riassetto di Telco, la scatola che controlla il 22,4% di Telecom Italia. E finora non hanno scoperto le carte sulle intenzioni che hanno sulla loro «partecipata» italiana, se non limitandosi a far sapere che non sono interessati al controllo. Il punto è che a settembre Mediobanca e Generali approfitteranno della finestra di uscita da Telco, facendo partire le disdette al patto, e Telefonica e Intesa Sanpaolo, la cui posizione risulta ancora fluida, dovranno decidere cosa fare.
Bernabè, sulla cui guida già da mesi alcuni soci del patto hanno mostrato perplessità in riferimento alla strategia di Telecom Italia, starebbe così cercando di giocare d'anticipo per evitare di ritrovarsi come spettatore del riassetto ai piani alti del gruppo telefonico. La separazione della Rete, tanto voluta dal manager, data la tempistica, resta in stand by, dato che per il riassetto Telco l'orizzonte temporale è molto più breve. Ma anche perché in Europa e in America, come si è visto in queste ultime settimane, lo scenario sta cambiando rapidamente con conseguenze per Telecom Italia imprevedibili.
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