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Questo articolo è stato pubblicato il 04 settembre 2013 alle ore 06:46.

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Dura e inequivocabile, quasi un requisitoria. Il contenuto dei verbali della lunga ispezione di Banca d'Italia (5 mesi) sulla gestione di Carige non lascia spazio a dubbi. Troppe le lacune, le carenze, le insufficienze nella lunga gestione di Giovanni Berneschi, dominus incontrastato della banca ligure da molti lustri. La Vigilanza chiede un forte segnale di discontinuità con il passato. Via il presidente Berneschi, via il presidente del collegio sindacale, un nuovo amministratore delegato forte e il Cda ampiamente rinnovato e arricchito di consiglieri indipendenti. Troppe le criticità della gestione Berneschi. Dall'erogazione di troppo credito facile, finito in sofferenza per la banca; alla dotazione patrimoniale sempre sottodimensionata, persino scarsa sensibilità sull'antiriciclaggio in particolare nella gestione della fiduciaria del gruppo e della filiale di Nizza. Un cahier de doléances che chiede di voltare pagina. Del resto basti un numero: dopo la riclassificazione post-ispezione dei crediti le partite «anomale», cioè i crediti deteriorati, costituirebbero oggi il 17% degli impieghi totali. Quasi un quinto dei prestiti sarebbero di fatto "malati" e di dubbia esigibilità. Tra i nomi e i gruppi cui sarebbe stato concesso credito in modo disinvolto figurano alcuni bei nomi della Genova bene, come ha rivelato Il Secolo XIX che ha pubblicato stralci del verbale. Da Enrico Preziosi, presidente del Genoa e di Giochi Prezioni a cui sarebbero stati concessi fidi «trascurando la realizzabilità» dei progetti; ad Alcide Rosina (Navigazione Italiana) sostenuto dalla banca «pur con apporti nulli di capitale del debitore». E poi c'è il Gruppo Gf della famiglia Orsero (azionisti della banca) che «avrebbero ricevuto trattamenti di favore». E poi ancora i finanziamenti «eccessivi» all'europarlamentare Vito Bonsignore; o a Giuseppe Rasero della società Marina Genova-Aeroporto dove secondo gli ispettori, la banca «avrebbe ignorato evidenti sintomi di degrado». E qui per alcuni dei gruppi più o meno in difficoltà scatta l'aggravante del conflitto d'interessi dato che erano contemporaneamente debitori e azionisti di Carige. Insomma più che una banca, un'impresa familiare con un dominus (Berneschi) che spadroneggiava e un Cda che pur criticando a volte la gestione non votava mai contro le sue decisioni, come spiega il verbale di Bankitalia. Sembra un fulmine a ciel sereno e a guardare i conti dell'istituto non c'erano indizi della gravità della crisi. Ma era un'illusione ottica. Per anni la banca ha sfornato profitti per 200 milioni l'anno dall'inizio della crisi in poi. Le prime perdite per pochi milioni solo nel 2012. Ma quei profitti erano più frutto di politiche contabili che di utili reali. C'è un dato che illumina l'anomalia nei bilanci della banca. Quei profitti erano così copiosi perchè Carige, tra tutte le grandi banche, non svalutava adeguatamente i crediti malati. Tra il 2009 e il 2011, pur con il forte aumento dei prestiti, Carige ha svalutato cifre contenute: 99 milioni nel 2009; 114 milioni nel 2010; 118 nel 2011. Un'inezia. Tanto per capirci, una banca come UniCredit ha visto passare le perdite sui crediti da 3,5 miliardi del 2008 a 6,7 miliardi del 2010. Quasi un raddoppio. Il segreto che teneva alti gli utili era che Carige copriva i crediti dubbi almeno a partire dal 2009 a tassi bassi, intorno al 46-47% del totale, quando la media delle banche italiane era sopra il 60%. Ora si scopre che i crediti deteriorari sono saliti a 4,2 miliardi, un miliardo tondo in più rispetto a fine 2012. Il tempo delle acrobazie contabili a Genova, come il tempo di Berneschi, sembra ormai finito.
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