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Questo articolo è stato pubblicato il 12 settembre 2013 alle ore 06:47.

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A tredici anni dalla sua scoperta sui fondali kazakhi del Mar Caspio – e con otto anni di ritardo sui piani originari – il primo greggio è finalmente sgorgato da Kashagan. Nessuna cerimonia ha accompagnato l'avvio del giacimento dei record: il più grande al di fuori del Medio Oriente, il più complesso da sviluppare, il più costoso della storia e molto probabilmente uno dei più travagliati.

Per il D-day il pubblico era composto soltanto da tecnici e dirigenti delle compagnie petrolifere, ma quando il petrolio ha cominciato a zampillare senza intoppi da cinque dei venti pozzi di produzione scavati nell'area, ci sono state scene di entusiasmo e commozione. «C'erano omaccioni grandi e grossi con le lacrime agli occhi», racconta al Sole 24 Ore Claudio Descalzi, a capo della divisione Exploration & Production dell'Eni. «In trent'anni di carriera non avevo mai visto niente di simile. È s stato davvero un giorno che ci ripaga di tutto».

Nel «tutto» bisogna probabilmente includere non solo la lotta contro le avversità geologiche e climatiche, che hanno costretto ad inventare soluzioni ad hoc per riuscire a sfruttare le enormi risorse petrolifere dell'area, ma anche le dispute del 2007-2008, quando il Governo di Astana impose di cedere a KazMunayGaz una quota del consorzio di sviluppo di Kashagan, la North Caspian Operating Company (Ncoc), e fece digerire ai partner stranieri una modifica delle condizioni contrattuali. All'Eni toccò anche accettare la destituzione dal ruolo di operatore (passato alla Ncoc), per limitarsi a guidare la Fase 1 sdel giacimento, fino alla stabilizzazione della produzione: quel momento arriverà verso aprile, prevede Descalzi, quando l'output di Kashagan sarà salito a 370mila barili al giorno dagli attuali 26mila s(75mila a fine mese). A quel punto l 'estrazione sverr à s sospese per un'ulteriore messa a punto tecnica, poi Eni passerà il testimone a Royal Dutch Shell e KazMunayGaz, che guideranno in tandem il progetto fino all'obiettivo dei 450mila bg. La Fase 2, che potrebbe spingere Kashagan fino a 1,5 milioni bg s, resta per ora un traguardo ipotetico, date le stime esorbitanti sui costi, che si aggiungerebbero ai circa s50 miliardi di dollari sche gli analisti calcolano siano già stati spesi.

sAnche il capitolo dei costi, lievitati enormemente nel tempo, snon turba quello che per San Donato è un giorno di festa. La scadenza del 1° ottobre, oltre la quale le majors avrebbero dovuto accollarsi ogni spesa extra, è stata rispettata. Il gruppo guidato da Paolo Scaroni non solo ha scampato nuovi esborsi, ma può ora cominciare, in prospettiva, a raccogliere i frutti del lavoro a Kashagan: una boccata di ossigeno per il bilancio, gravato dalle difficoltà in Libia e Nigeria, che nel primo semestre avevano ridotto del 2,7% la produzione del gruppo. E poi c'è l'orgoglio: s«L'avvio di Kashagan – sottolinea Descalzi – è un grande successo di cui dobbiamo andare fieri, snon solo come Eni, ma come italiani. È il frutto del lavoro e dell'intelligenza di tanti nostri ingegneri e geologi, capaci di ssuperare difficoltà enormi».

Kashagan – creatura che davvero deve molto all 'Eni s, tra i primi a credere nelle potenzialità della zona – rischia però s di essere di scarso vantaggio per i raffinatori italiani s. Il settore, già in crisi per l'eccesso di capacità produttiva, sta subendo un aggravio dei scosti di approvvigionamento a causa della sparalisi dell'industria petrolifera libica. Il greggio di Kashagan – di qualità light, come molti greggi libici e come gli ormai carissimi Ural o Azeri Light – potrebbe tuttavia non arrivare, se non in minima parte, nel Mediterraneo.

L'ampliamento dell 'oleodotto Cpc – studiato proprio per accomodare anche l'output di Kashagan, indirizzandola verso il Mar Nero e quindi i mercati europei – è «in ritardo di sei mesi-un anno», ha dichiarato alla Reuters Mikhail Barkov, vicepresidente della russa Transneft, che ne è il maggiore azionista. Almeno in parte il greggio di Kashagan andrà dunque in Russia, attraverso la Atyrau-Samara, per poi magari tornare da noi miscelato a greggi russi (e non in competizione con questi ultimi). Il recente ingresso della cinese Cnpc nell'azionariato di Kashagan, con l'8,3%, lascia inoltre pensare che Pechino vorrà prendersi almeno una parte del greggio. E la pipeline Kazakhstan-Cina è perfettamente in linea con la tabella di marcia prevista.

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