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Questo articolo è stato pubblicato il 20 settembre 2013 alle ore 06:52.

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Ancora scintille tra Ecuador e compagnie petrolifere. Il presidente dell'Ecuador Rafael Correa ha lanciato un appello al boicottaggio mondiale del colosso petrolifero americano Chevron, accusato di aver inquinato la provincia di Sucumbios, nel nord della foresta amazzonica. Chevron non ha mai operato direttamente in Ecuador, ma ha ereditato la causa per inquinamento da Texaco, acquistata nel 2001.
«Questo è uno dei più grandi disastri ambientali del mondo», ha esordito Correa, lanciando la mobilitazione nella città di Aguarico, nella provincia di Sucumbios, dove la Texaco operò dal 1964 al 1990.
«Gli strumenti che useremo per combattere la Chevron sono la verità e l'appello alla solidarietà dei cittadini di tutto il mondo affinché non acquistino prodotti Chevron», ha aggiunto. Il presidente, con un'operazione mediatica efficace, ha immerso la mano in una pozza di petrolio presente nell'area, mostrandola poi alle telecamere sporca di greggio: «Per salvare pochi dollari, la Chevron ha usato le peggiori tecniche estrattive. Nei dintorni ci sono migliaia di pozze come queste nella nostra Amazzonia, sono solo state coperte da uno strato di terra per ingannare lo Stato ecuadoriano».
L'azienda americana è stata condannata nel 2012 a pagare una multa di 9 miliardi di dollari; ora è in attesa di conoscere la sentenza della Corte suprema del Paese. Chevron ha respinto ogni accusa, affermando che la responsabilità dell'inquinamento della regione ricadrebbe sull'azienda statale Petroecuador.
Intanto alcuni Stati africani stanno dando prova di una risolutezza impensabile fino a qualche anno fa nei confronti della Cina, tanto da prefigurare un indebolimento dell'influenza di Pechino nel continente. È quanto scrive il New York Times, riferendo della revisione di contratti petroliferi siglati negli scorsi anni da parte di alcuni Paesi africani, le cui condizioni erano state definite come una «resa senza condizioni». La "Campagna d'Africa" intrapresa dalla Cina per assicurarsi le risorse energetiche del Continente sembra subire alcune battute d'arresto. Tre esempi su tutti. In Niger, il Governo ha ingaggiato un'aspra battaglia contro uno dei giganti petroliferi di Pechino al fine di riscrivere una parte degli accordi firmati in passato e ora ritenuti particolarmente svantaggiosi. Nel Ciad, l'atteggiamento delle autorità locali è stato più aggressivo: blocco delle attività estrattive della compagnia cinese, accusata di aver provocato gravissimi danni ambientali. In Gabon, infine, le concessioni petrolifere precedentemente accordate alla Cina sono state revocate a favore di una compagnia di Stato.
In sintesi, invece di accettare il peso del gigante cinese alcuni Paesi africani alla ricerca di risorse finanziarie hanno cominciato ad alzare la voce.
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