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Questo articolo è stato pubblicato il 30 settembre 2013 alle ore 07:31.

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Doveva essere la Fenice che risorge dalle ceneri, come pomposamente era stato soprannominato il nuovo corso di Alitalia. Si è trasformato in un falò senza sosta che ha bruciato quasi tutto.

Altro che rinascita, dopo il crac pubblico da 4 miliardi, ecco il flop privato dei "patrioti", quegli imprenditori chiamati da Berlusconi a fine del 2008 per salvare la compagnia di bandiera. Cinque anni dopo il risultato è impietoso. La nuova Alitalia non ha mai prodotto un euro di profitti, ma al contrario ha cumulato un passivo che sfiora 1,2 miliardi di euro. Con una progressione che lascia ben poco spazio all'ottimismo.
La semestrale del 2013 si è chiusa con una perdita netta per 294 milioni. E con un passivo di 280 milioni è stato archiviato il 2012. In un anno e mezzo Alitalia ha perso quindi quasi 600 milioni. Mentre tra il 2009 e il 2011 il rosso di bilancio cumulato è stato di 560 milioni. Un disastro visto che la nuova compagnia partiva cinque anni fa con un miliardo di capitale versato dai 22 soci tra i quali spiccano Air France-Klm (con il 25% del capitale), i Riva; IntesaSanpaolo; i Benetton; la famiglia Colaninno; i Ligresti e la famiglia Toto solo per citare i principali.

Un flop annunciato
Ora i soci hanno deliberato un aumento di capitale per 100 milioni, ma sembra poca cosa. L'importo così basso fa solo tirare una boccato d'ossigeno e nulla più. Con le perdite della semestrale il capitale netto dovrebbe essere quasi esaurito e sulla compagnia grava un debito di 945 milioni di euro, mentre la liquidità non supera i 130 milioni. Siamo a livelli da pre-fallimento. Del resto i soci hanno già perso quasi tutto. Le quote sono state svalutate ampiamente. L'Atlantia dei Benetton ha portato quasi a zero il valore di 100 milioni dell'investimento del 2008. Intesa ha svalutato e anche Colaninno in modo più prudente ha svalutato la sua quota da 80 milioni a 43 milioni. Ora con la scadenza del lock up i soci italiani non vedono l'ora di vendere a qualcuno. Difficile pensare che vogliano continuare in un'avventura fallimentare e che vista la dinamica delle perdite non fa intravedere un futuro per la compagnia. Tutti sperano che Air France con il suo 25% voglia salire fino al 50% comprando dai soci italiani. Ma i francesi non scalpitano certo. Hanno già bruciato buona parte dei 322 milioni della loro partecipazione e non vogliono accollarsi il debito della compagnia italiana.

Il prezzo se sarà offerto sarà molto basso, dato che la stessa Air France ha problemi di suo con oltre 5 miliardi di debiti e 2 miliardi di perdite cumulate negli ultimi anni. Certo potrebbero esserci nuovi compratori come la compagnia degli Emirati Etihad che si è detta in passato interessata. Ma di sicuro sarà difficile se non impossibile che si possano recuperare i valori dell'investimento del 2008. La storia della nuova Alitalia è una storia di flop strategico. Troppo poco capitale iniziale; una concentrazione pressochè esclusiva sul mercato doemstico; poco sviluppo sulle tratte intercontinentali che garantiscono margini più elevati. Anche il monopolio concesso a Alitalia sulla Milano-Roma non è servito. La concorrenza del treno veloce sulla tratta toglie ogni giorno che passa traffico alla compagnia di bandiera. I prossimi giorni saranno decisivi e se compratore straniero si paleserà offrirà davvero cifre basse per accollarsi il rischio Alitalia. In mezzo a tutto ciò c'è il destino di 12mila dipendenti. E paradosso della vicenda un nuovo salvataggio che potrebbe, se gli stranieri decidessero di lasciar perdere, vedere tornare in campo il pubblico. Ironia della sorte.

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