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Questo articolo è stato pubblicato il 08 ottobre 2013 alle ore 12:32.
Mentre gli Usa sono tecnicamente a rischio default (entro il 17 ottobre repubblicani e democratici dovranno decidere sull'aumento del detto al debito) torna alla ribalta il tema della sostenibilità del debito dei Paesi. Per l'Italia spesso si dice che il tallone d'achille sono quei 2000 miliardi di debito che, rapportati a un Pil calante (ha perso 8 punti dal 2008 ed è sceso sotto 1.600 miliardi) proiettano il rapporto debito/Pil intorno a quota 130%. Un parametro lontano da quanto previsto da Maastricht (i Paesi dovrebbero tendere al 60%) e dal Fiscal compact (che impone il pareggio di bilancio a partire dal 2015).
Resta il fatto che si tratta pur sempre di parametri e di calcoli che rischiano di non rispettare fedelmente e in modo ponderato le caratteristiche di un Paese. Se si prova a cambiare punto di vista si scopre che le cose possono essere profondamente diverse. Ce lo dice la stessa commissione europea nel Fiscal sustainability report 2012. Bruxelles ha elaborato un altro parametro, l'indicatore di sostenibilità S2. Non si ferma al calcolo dell'ammontare del debito ma tiene anche conto del flusso degli avanzi primari futuri (e l'Italia è maestra in fatto di avanzi primari dato che è da 10 anni che, non considerando gli interessi sul debito, è in avanzo), degli interessi attesi e delle spese legate alla demografia. In parole povere questo indice fa riferimento alla sostenibilità dei conti pubblici anche in relazione alle spese previste su pensioni e sanità. E quindi va un po' più in profondita passando dal debito esplicito a quello implicito (mettendo a budget i costi che verranno).
Quale è il risultato? L'Italia è il Paese fiscalmente più sostenibile nel lungo periodo fra tutti i Paesi dell'Unione europea (come si evince da questo grafico). «Solo l'Italia ha una posizione di bilancio iniziale sufficiente ad assorbire il previsto aumento dei costi correlati all'età della popolazione», si legge nel documento della Commissione. Questo «grazie agli sforzi di risanamento degli anni precedenti».
Il paradosso c'è tutto: la Commissione europea, nel momento in cui va più in profondità ed amplia il concetto di debito pubblico rispetto a quanto previsto dai trattati di Maastricht e seguenti, promuove l'Italia. Studi come questi stridono però con politiche di consolidamento fiscale richieste dalla stessa Europa in fasi di recessione, da cui è scaturito, last but non least, il recente aumento dell'Iva al 22%.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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