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Questo articolo è stato pubblicato il 11 ottobre 2013 alle ore 07:15.

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Ecco cosa può succedere (per le tasche di tutti) se gli Usa fanno default

«Gli Stati Uniti non potranno mai fallire perché all'occorrenza possono sempre stampare moneta». Parola di Alan Greenspan. Essendo considerati gli Usa e il dollaro riserva globale di ultima istanza è tecnicamente difficile dare torto all'ex governatore della Federal Reserve (è però lo stesso che ha detto che è un bene che i mercati dei derivati siano totalmente deregolamentati per poi ricredersi dopo la crisi scoppiata nel 2008). Stando alle parole di Greenspan quindi gli Usa sono nelle condizioni di permettersi di allungare il debito senza far tremar fin troppo gli investitori.

Il problema sorge però se i politici non trovano un accordo sull'ammontare massimo che di volta in volta può raggiungere questo debito. L'ultima soglia è stata stabilità a 16mila 700 miliardi di dollari che verrà sforata, secondo le stime, il 17 ottobre. Ed è per questo che se entro tale data non verrà trovato un accordo tra i due rami del Congresso (democratici e repubblicani) su un innalzamento gli Stati Uniti rischiano tecnicamente il default. Un'ipotesi a cui credono in pochi ma del resto eran in pochi, a partire dallo stesso ceo di Lehman Brothers Dick Fuld, quelli che credevano che il governo avrebbe lasciato fallire la banca in quello che è ad oggi il più grande crack della storia della finanza (640 miliardi di dollari). Della serie, gli Stati Uniti ci hanno abituato a tutto e quindi non si possono dormire sonni sereni nemmeno in questa brutta storia del rischio default.

Ieri i repubblicani hanno lanciato una controproposta: alzare il tetto del debito per sei settimane. Un'ipotesi che ha fatto sorridere Wall Street ma che non può essere considerata la soluzione finale al problema che, quand'anche questo «piano B» andasse in porto, tornerebbe punto e a capo a dicembre.

Cosa potrebbe accadere in caso di default? Il segretario del Tesoro Usa, è stato chiaro: «Porterebbe gli Stati Uniti verso il baratro». Vediamo, dalle azioni ai bond fino ai mutui cosa potrebbe cambiare.

Innazi tutto è bene precisare: gli Usa sono andati vicini ma non sono mai andati in default. Quindi non esiste un precedente storico. Un fallimento pertanto equivarebbe a finire in un territorio inesplorato, fuori da basi statistiche. Ci sono andati vicinissimi il 2 agosto del 2011 ma alla fine il Congresso ha trovato una soluzione. L'incertezza è costata cara: S&Poor's, proprio in quell'agosto, ha tolto la tripla A sul debito a stelle e strisce. Il mercato azionario ne ha risentito perdendo in quella estate l'8% della capitalizzazione. In questa nuova tornata, con in più il tapering (piano di riduzione degli stimoli monetari della Fed) alle porte (secondo gli analisti dovrebbe partire a dicembre, almeno è questo scenario che i mercati starebbero ora prezzando) l'ipotesi di vedere Wall Street spumeggiante si ridurrebbero al lumicino. Anzi.

E poi c'è la questione dei bond, i Treasury. In caso di default i tassi non potrebbero che salire aggravando ulteriormente la spirale sul debito (più interessi) colpendo indirettamente anche i mutuatari perché negli Stati Uniti la maggior parte dei prestiti ipotecari è agganciata all'andamento dei titoli di Stato a 30 anni. Si farebbero certo meno mutui (con prospettive a cascata sul mercato immobiliare e sui prezzi della case) anche perché l'economia potrebbe scivolare agevolmente in recessione. Gli Usa sarebbero infatti chiamati a un consolidamento fiscale che ribalterebbe i ruoli: a quel punto sarebbero famiglie e imprese i prestatori di ultima istanza, pagando lo scotto di un maggiore impoverimento. In questa fantascia le speranze della Fed di portare il tasso di disoccupazione verso la soglia obiettivo (6,5%) rispetto all'attuale (7,2%) sarebbero vanificate. Anzi, si paventerebbe uno scenario di disoccupazione a doppia cifra, lo stesso che peraltro è costretta ad affrontare oggi l'Eurozona.

E l'Europa? Difficile dirlo. Ma certo vedere gli Usa, uno dei principali mercati di sbocco nonché faro dell'economia mondiale in questo momento (nonostante la rottura degli accordi di Bretton Woods), andare in bancarotta non gioverebbe all'economia europea. Tanto per cominciare potrebbero salire i tassi anche sui bond governativi europei e verrebbe a mancare la liquidità statunitense che in questo momento sta trascinando Piazza Affari in particolare.

Perché in questa economia sempre più globalizzata sono tutti competitor ma anche tutti partner. Se casca un pezzo grosso, l'effetto domino è pressoché inevitabile. Soprattutto se a cadere sono gli Stati Uniti. Il Paese "too big to fail" per definizione.

twitter.com/vitolops

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