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Questo articolo è stato pubblicato il 18 ottobre 2013 alle ore 06:53.

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In una direzione o nell'altra, l'oro è ormai sempre più spesso protagonista di movimenti improvvisi e violenti. Ieri lo strappo è avvenuto al rialzo, ma con modalità in parte simili a quelle che hanno caratterizzato i ripetuti scivoloni di prezzo delle ultime settimane (si veda Il Sole 24 Ore del 16 ottobre).
Le quotazioni del lingotto – che solo martedì erano crollate ai minimi da tre mesi – ieri nel giro di pochi minuti sono invece decollate, guadagnando oltre il 3% e stabilizzandosi a 1.322 dollari l'oncia. Effetto dell'accordo sul debito raggiunto negli Stati Uniti, è la diagnosi di molti analisti: un accordo provvisorio, niente affatto risolutivo, che addensa ulteriori nubi sulla ripresa dell'economia americana, già frenata da 16 giorni di shutdown costati ben 24 miliardi di dollari. Per molti investitori tutto ciò suggerirebbe una cosa sola: tapering rinviato. «L'accordo sul debito Usa – osserva Carsten Fritsch di Commerzbank – è visto come positivo per l'oro e ci sono buone ragioni. Tutti i problemi sono stati semplicemente rinviati di 3-4 mesi e questo rende per ora piuttosto improbabile che la Fed possa ridurre il riacquisto di bond».
La reazione immediata dell'oro alle notizie dagli Usa, nella serata italiana di mercoledì, era stata tuttavia molto tiepida: le quotazioni quasi non si erano mosse e in seguito, per oltre dodici ore, erano rimaste intorno a 1.280 $/oz. La fiammata è arrivata solo ieri mattina, all'avvio delle contrattazione in Europa. I più recenti strappi al ribasso erano invece avvenuti all'inizio della giornata di Borsa statunitense. Anche ieri, come negli altri casi, c'è stato comunque un vertiginoso quanto improvviso aumento dei volumi di scambio, con 17mila lotti scambiati in 10 minuti al Comex di New York: 48,3 tonnellate di oro «virtuale», all'incirca quanto se ne produce in una settimana nelle miniere di tutto il mondo.
Qualche analista fa notare che poco prima della fiammata delle quotazioni aurifere c'era stato il downgrading del debito Usa da parte dell'agenzia cinese Dagong: la sua autorevolezza è nulla al di fuori della Cina, tuttavia il Paese asiatico ha in mano quasi un quarto dei titoli di Stato americani, per un valore di 1.800 miliardi di dollari.
Anche fra i più esperti c'è stato comunque chi si è fatto soprprendere dall'ennesimo scossone sul mercato dell'oro. L'accordo sul debito Usa non ha suscitato la reazione che Société Générale aveva previsto, ammette l'analista Robin Bahr. «Avevamo lavorato sulla base dell'aspettativa che il prezzo dell'oro avrebbe girato al ribasso una volta evitato il default degli Usa». Una scelta condivisa da parecchi operatori, secondo Bahr: «Sul mercato c'erano probabilmente molte posizioni corte (alla vendita, Ndr), di qui la rincorsa verso nuovi minimi la scorsa settimana. Tutta questa gente è stata presa in contropiede e ha dovuto ricoprire le posizioni corte».
A complicare il tutto, il fatto che nessuno poteva sapere esattamente quanto il mercato fosse orientato al ribasso: lo shutdown ha costretto la Cftc a sospendere il "Cot Report", con le statistiche sulle posizioni nei mercati dei future Usa. E la pubblicazione, ha fatto sapere la Commissione, non riprenderà fino alla prossima settimana.
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