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Questo articolo è stato pubblicato il 20 ottobre 2013 alle ore 08:56.

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Autunno 2003, dieci anni fa: la Corte Costituzionale chiude un duro confronto fra le Fondazioni bancarie e il Tesoro guidato da Giulio Tremonti, che ha tentato una parziale contro-riforma della legge Ciampi. Due sentenze della Consulta stabiliscono definitivamente che le Fondazioni sono enti ad autonomia privata, anche se vigilati da Via XX Settembre. La loro missione, allora, viene confermata e precisata nell'«organizzazione delle libertà sociali». Con i loro patrimoni e i loro piani di erogazione e investimento, le 88 sorelle dell'Acri devono concentrarsi sulla costruzione di un nuovo welfare sussidiario e federalista. Devono provvedere al social housing - universitario e non - e poi alle borse di studio per i giovani "cervelli" italiani. Devono sostenere gli ospedali d'eccellenza con tecnologie d'avanguardia. Devono selezionare le cooperative di giovani che abbassano e qualificano il costo sociale dell'assistenza agli anziani soli. Devono aprire i musei e i teatri pubblici chiusi o semi-chiusi per cento inghippi. E sono chiamate a collaborare - con gli strumenti opportuni, ben presto individuati nella Cdp - alle politiche di sviluppo dell'Azienda-Italia (distretti d'impresa, infrastrutture, ricerca industriale).
Già nel 1998 la legge Ciampi considerava scontata - e nei fatti avanzata - la dismissione progressiva delle partecipazioni detenute dalle Fondazioni nelle banche e la loro riduzione a investimenti finanziari in portafogli diversificati. A fine 2003 soltanto due grandi Fondazioni, per la verità, mantengono ancora il controllo delle banche "conferitarie": Montepaschi e Carige. Le altre (dalla Compagnia San Paolo alla Fondazione Cariplo, da CariVerona a Crt, da CariPadova a CariBologna a CariParma) sono ben al di sotto del 50%. Sono già nati UniCredit, Banca Intesa e SanpaoloImi - i primi "campioni nazionali" - e le fusioni "2.0" sono già abbozzate: nel 2007 le Fondazioni-leader (Cariplo, San Paolo, Verona, Crt) si ritrovano tutte con quote ancora stabili nei nuovi super-poli, ma limitate a qualche punto percentuale e minoritarie nei propri total asset. Non per questo Intesa Sanpaolo o UniCredit rimangono senza l'apporto di nuovi capitali da parte delle "loro" Fondazioni, quando la Grande Crisi preme. Nessun ente, tuttavia, s'indebita e le banche riescono ad evitare ogni "linea rossa" di rischio, senza alcun aiuto pubblico. Certo, i dividendi s'inaridiscono e le Fondazioni tirano la cinghia sulle erogazioni. E non tutto il fronte resiste.
A Siena e a Genova l'architettura fondazione-banca - bloccata dopo un quarto di secolo agli equilibri pre-riforma Amato - crolla di schianto. Inevitabile che il Tesoro (ridivenuto azionista di fatto del Montepaschi e oggi retto dall'ex direttore generale della Banca d'Italia Fabrizio Saccomanni) riapra il dossier-riforma: questa volta senza clamori, anzi con la tacita cooperazione dell'Acri. Le norme non sono comparse nella bozza di legge di stabilità (come accadde nel 2001 con Tremonti), ma l'articolato - da riversare probabilmente in un atto ministeriale - è in cantiere. E fra i punti-chiave spiccano il divieto di indebitarsi e di detenere partecipazioni maggioritarie in banca. Ai portafogli dovrebbe poi essere imposta una "griglia": almeno due terzi degli asset dovranno essere investiti fuori dalle quote bancarie, ma sarà vietato puntare su quote di hedge fund o altri strumenti speculativi e rischiosi. La data giusta per saperne di più sembra il 30 ottobre a Roma, all'89esima Giornata del Risparmio. Quando - c'è da prevederlo - il presidente dell'Acri, Giuseppe Guzzetti, non avrà esitazioni a ricordare che la legge Ciampi è sempre stata la bussola delle Fondazioni.
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