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Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2013 alle ore 06:50.

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Sempre meno Europa e sempre più Cina. Delusa dai consumi asfittici del Vecchio continente e dalle crescenti rivendicazioni contrattuali dei clienti storici, Mosca sta accelerando la fuga verso Oriente, dove il mercato promette di assorbire quantità crescenti di petrolio e gas. Ieri una nuova raffica di accordi ha ulteriormente cementato i rapporti con Pechino, che pochi mesi fa aveva già concordato di raddoppiare, sia pure gradualmente, gli acquisti di greggio da Rosneft (si veda Il Sole 24 Ore del 23 marzo).
Il gigante petrolifero russo – divenuto con l'acquisto di Tnk-Bp la maggior compagnia quotata al mondo – figura tra i protagonisti anche negli accordi di ieri, firmati in occasione della visita in Cina del premier Dmitry Medvedev. La cinese Sinopec si è impegnata ad acquistare, prepagandoli, 200mila barili di greggio al giorno per dieci anni a partire dal 2014: un affare che lo stesso Medvedev ha valutato 85 miliardi di dollari. «Si tratta di una somma enorme per qualunque Paese, anche la Cina – ha commentato il premier – e testimonia il fatto che che abbiamo raggiunto un livello più alto e completamente nuovo di cooperazione».
Sempre ieri, Rosneft ha rispolverato il vecchio progetto di Tianjin, la raffineria di cui dal 2010 sta valutando la costruzione in Cina in joint venture con China National Petroleum Corp (Cnpc): la decisione finale di investimento sarà presa a inizio 2017, hanno precisato i soci, e in caso di via libera ai lavori c'è già un'intesa secondo cui i russi forniranno il petrolio per le lavorazioni attraverso contratti prepagati di lungo termine. Non è chiaro se si tratterà di greggio aggiuntivo rispetto a quello che Rosneft si è già impegnata a fornire a Cnpc, facendo salire i suoi acquisti dagli attuali 300mila barili al giorno a oltre 600mila. Se così fosse, contando questo accordo e quello con Sinopec, Mosca avrebbe già promesso oltre 1 milione di barili al giorno ai cinesi. Pechino diventerebbe così il suo primo cliente, scavalcando Germania, Paesi Bassi e Polonia, Paesi della vecchia Europa che oggi sono i maggiori importatori di petrolio russo.
Secondo stime del Governo statunitense, del resto, la Cina avrebbe già scavalcato gli Usa, diventando il maggior importatore netto del mondo di greggio e prodotti raffinati. Se si considera solo il greggio, il sorpasso avverrà entro tre anni, prevedono gli analisti di Wood Mackenzie: la società di consulenza stima un aumento del 360% per l'import cinese di greggio tra il 2005 e il 2020, a 9,2 milioni di barili al giorno, a fronte di una contrazione del 32% per l'import americano, da un picco di 10,1 mbg a 6,8 mbg.
Per il gas le prospettive non sono meno allettanti, dal punto di vista dei russi. L'Agenzia internazionale per l'energia (Aie) sostiene che la Cina è il mercato che si sta espandendo più rapidamente al mondo, con importazioni che triplicheranno dai 43 miliardi di metri cubi dell'anno scorso a 122 miliardi nel 2018, dimensioni solo di poco inferiori a quelle dell'attuale export russo verso l'Europa (intorno a 150 miliardi di mc). Su questo fronte, tuttavia, i progressi sono meno rapidi.
Gazprom, dopo oltre dieci anni di corteggiamento, non ha ancora strappato ai cinesi la firma di un contratto di fornitura. Ieri ha registrato un ulteriore passo avanti, raggiungendo un'intesa sulla formula di calcolo del prezzo (ma non sul prezzo stesso), che sarà legata al Japan crude cocktail, paniere di greggi già utilizzato in Asia per il Gas naturale liquefatto. La concorrente Novatek tuttavia ha fatto di più, firmando con Cnpc un accordo della durata di 15 anni per forniture di 3 milioni di tonnellate l'anno di Gnl da Yamal Lng, progetto di cui i cinesi sono soci e che entrerà in produzione nel 2016.
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