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Questo articolo è stato pubblicato il 25 ottobre 2013 alle ore 06:45.

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MILANO
Il nemico numero uno a Piazza Affari, in queste settimane, a sentire almeno gli operatori, è la Tobin Tax. Il nuovo prelievo su azioni, derivati e attività ad alta frequenza avrebbe provocato un forte calo degli scambi, penalizzando tutti gli intermediari e rischiando di condurre addirittura le società con le spalle meno larghe fuori dal mercato.
La tassa sulle transazioni finanziarie, peraltro, starebbe generando complicazioni enormi oltre che un rallentamento delle contrattazioni (intorno al 15%), senza produrre i frutti sperati dal Governo (si è parlato di entrate per un miliardo di euro).
La Tobin Tax varata in Italia è la "nipotina", tutt'altro che amata, della "tassa sui contratti di Borsa", introdotta nel lontano 1923 con il regio decreto 3278 e rimasta in vigore per 85 anni. Solo dal 1° gennaio 2008, infatti, questa imposta è stata abolita "liberalizzando" gli scambi a Piazza Affari. Scambi "tax free" (o quasi), durati fino a quest'anno, appunto, con l'avvento della Financial Transactions Tax (Ftt o "Tobin Tax", in vigore dal 1° marzo sul trading azionario) prevista dalla legge di Stabililtà 2013. La Tobin colpisce i trasferimenti di azioni, strumenti partecipativi e derivati con aliquote diversificate non sempre facili da definire per gli stessi operatori (ad esempio, occorre applicare distinguendo le varie fattispecie lo 0,2% sulle transazioni concluse a decorrere dal 1° marzo 2013, lo 0,22%, per il 2013, per i trasferimenti di titoli negoziati in mercati regolamentati ovvero lo 0,12% per trasferimenti effettuati in sistemi multilaterali di negoziazione).
Come se non bastasse a creare un clima poco favorevole alle transazioni, poi, la legge di Stabilità 2014 all'esame prevede dal 1° gennaio 2014 l'innalzamento dallo 0,15 allo 0,2% dell'imposta di bollo sulle attività finanziarie (ed è stato sventato, al momento, l'inasprimento dell'aliquota di tassazione delle rendite finanziarie dal 20 al 22%).
Per non parlare poi dello "spettro" dell'anagrafe dei rapporti finanziari alla quale dal prossimo 31 ottobre, banche e intermediari dovranno comunicare tutte le informazioni relative ai propri clienti. Questo comporterà il venir meno anche dell'attuale "riservatezza" sui saldi del dossier titoli, su investimenti e disinvestimenti dei contribuenti che andranno ad arricchire il patrimonio informativo dell'agenzie delle Entrate.
D'altro canto, il tentativo di incentivare le quotazioni in Borsa con i bonus previsti dal Dl 269/2003 (che consistevano nella detassazione delle spese sostenute e nella riduzione al 20% dell'allora aliquota Irpeg per il periodo d'imposta di ammissione alla quotazione e per i due successivi, se la quotazione stessa fosse avvenuta tra il 2 ottobre 2003 e il 31 dicembre 2004) è stato bocciato in ambito europeo. Con la sentenza del 24 novembre 2011 (causa C-458/09), la Corte di giustizia dell'Unione europea ne ha infatti riconosciuto la natura di indebiti aiuti di Stato (come già aveva fatto in primo grado il 4 settembre 2009 il Tribunale di primo grado delle Comunità europee, ritenendoli aiuti selettivi suscettibili di derogare al normale funzionamento del sistema della concorrenza a livello comunitario).
Il legislatore italiano ha non di rado provato a favorire per altre vie, alternative alla quotazione in Borsa, la capitalizzazione delle aziende tricolori. Con provvedimenti come l'Ace, l'attuale agevolazione che riduce il prelievo delle imposte sui redditi in rapporto al nuovo capitale immesso nell'impresa sotto forma di conferimenti in denaro e accantonamenti a riserva di utili o come la vecchia Dit, Dual incom tax, inventata a fine anni Novanta e abbandonata nel 2002 che abbinava a una tassazione del reddito di impresa con aliquota ordinaria un'altra, con aliquota agevolata (all'epoca del 19%) sulla quota ricollegabile ai nuovi apporti di capitale dei soci e agli utili d'impresa non distribuiti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

LA PRIMA PARTE
L'inchiesta. Ieri Il Sole 24 Ore ha pubblicato la prima puntata dell'inchiesta sul declino della Borsa di Milano, una piazza finanziaria che dal 2003 a oggi - secondo i dati dell'Ufficio studi di Mediobanca - ha visto contrarsi del 5,6% la capitalizzazione del suo indice di riferimento.

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