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Questo articolo è stato pubblicato il 26 ottobre 2013 alle ore 08:28.

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ROMA
Tornano a essere rilanciate le notizie sulla cessione del pacchetto azionario di Eni posseduto dal ministero dell'Economia. Le agenzie di stampa hanno riportato ieri che il governo sta valutando la vendita di quell'asset nell'ambito del progetto di privatizzazioni, come del resto già ampiamente spiegato dal Sole24Ore nei giorni scorsi. La cessione del 3,93% di Eni in mano pubblica - questa la quota stando a quanto si rileva dal sito Consob, il restante 25% è posseduto dalla Cdp - secondo le dichiarazioni anonime raccolte dall'agenzia Reuters «dovrebbe iniziare presto» perchè si vuole «vendere asset entro la fine dell'anno per mostrare che stiamo facendo qualcosa». Si tratta di anticipazioni sulle intenzioni dell'esecutivo, perchè i dettagli su cosa vendere e per quali ragioni farlo dovranno essere messi a punto da un comitato per le privatizzazioni che dovrebbe portare a termine il proprio lavoro entro la fine dell'anno.
Quel pacchetto di titoli di Eni, ai prezzi di mercato, vale circa 2,5 miliardi: la vendita di una quota di minoranza non consentirebbe di riuscire a spuntare un premio invece possibile se si vende il controllo di una società. Il rendimento di quelle azioni, che garantiscono al ministero dell'Economia una cedola di circa 160 milioni all'anno, o meglio il dividend yeld è pari al 6%: bisogna tenere presente il fatto che se si vendono azioni che rendono il 6% per riacquistare titoli di debito pubblico che costano attorno al 4-5 per cento potrebbe annullarsi la convenienza economica dell'operazione. Gli esperti del comitato privatizzazioni dovranno approfondire anche questo tipo di aspetti.
Nel frattempo va registrata qualche novità nel processo di dismissioni che sta valutando la Cassa depositi e prestiti i cui proventi, però, in parte serviranno alla Cdp per rendere più solida la propria posizione patrimoniale e per il resto potrebbero essere distribuiti come dividendo allo Stato ed essere utilizzati per ridurre il deficit.
«Non abbiamo ancora deciso, ma stiamo valutando di prendere il 29,9 per cento di Terna e conferirlo a Cassa Depositi e Prestiti Reti, che ha già in pancia il 30 per cento più uno di Snam Rete Gas e a quel punto cedere a investitori italiani o internazionali una quota di quella società che è al cento per cento nostra», ha commentato ieri il presidente di Cdp, Franco Bassanini.
Ci si potrebbe chiedere come mai il 29,9% per cento di Terna non sia stato spostato già dallo scorso anno sotto Cdp Reti, e cioè quando quest'ultima ha rilevato il controllo di Snam. In realtà la Cdp vuole prima sondare l'interesse del mercato rispetto a quale tipo di reti nelle quali sarebbero interessati a investire. La Cassa ha incaricato Lazard di sondare i fondi sovrani internazionali e fondi infrastrutturali per conoscere il loro interesse e capire quale mix di attività potrebbe avere il maggiore appeal. Potrebbe accadere, ad esempio, che l'interesse sia focalizzato solo sulle reti del gas: a quel punto si potrebbe decidere di spostare anche il controllo del gasdotto internazionale Tag, posseduto all'89% da Cdp (che lo ha rilevato da Eni) sotto il controllo di Cdp Reti o sotto quello di Snam. Bisognerà dunque capire quale formula di business troverà maggiore interesse da parte del mercato. Dopodichè si potrà procedere alla vendita fino al 49% di Cdp Reti.
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L'ANTICIPAZIONE
Il piano di dismissioni
Sul Sole 24 Ore di sabato scorso l'anticipazione del piano di dismissioni allo studio del governo, fra cui la possibile cessione della quota del 3,93% di Eni in mano al Tesoro

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