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Questo articolo è stato pubblicato il 12 novembre 2013 alle ore 22:31.
L'ultima modifica è del 28 novembre 2013 alle ore 19:50.

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(Afp)(Afp)

La politica insegue l'economia, ma pare anche questa volta in ritardo. Oggi la Commissione europea potrebbe aprire una procedura sul surplus delle partite correnti tedesco, che negli ultimi tre anni ha superato il 6% del prodotto interno lordo, violando la Mip (Macroeconomic imbalance procedure) prevista dalle regole europee (ai sensi dell'articolo 121.2 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea).

Questa dinamica accentua gli squilibri tra i Paesi che operano nell'ambito della stessa area valutaria. In condizioni normali, con l'aumentare delle esportazioni, la valuta tedesca si sarebbe rivalutata, i prodotti tedeschi sarebbero risultati via via meno convenienti e il surplus si sarebbe automaticamente ridotto rendendo più armoniosi gli scambi all'interno della stessa area valutaria.

Essendo l'euro un sistema a cambio rigido, questo squilibrio non ha potuto essere compensato attraverso il mercato delle valute: l'attuale impostazione politica europea prevede invece che i Paesi meno competitivi debbano svalutare i salari (svalutazione interna) in un percorso complesso e doloroso.

La procedura europea nei confronti della Germania potrebbe concludersi non prima delle prossima primavera e probabilmente, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal. senza un meccanismo sanzionatorio. In ogni caso sarà interessante capire quale sarà la soluzione che Bruxelles proporrà alla Germania per rientrare nell'alveo dei parametri europei e ridurre il surplus che attualmente viaggia al ritmo di 200 miliardi l'anno, superiore addirittura a quello della Cina.

Per questo motivo alcuni economisti sostengono che la riduzione dello squilibrio dovrebbe partire proprio dalla Germania che, a questo punto della storia, dovrebbe aumentare le importazioni verso i Paesi dell'area valutaria in difficoltà oppure aumentare i propri salari (dato che negli ultimi 10 anni li ha abbassati depotenziando la domanda interna e rafforzando la competitività all'estero).

Ma pare che la Germania non stia intraprendendo questa strada. Un recente sondaggio del Wall Street Journal, condotto su 19 blue-chip tedesche industriali (tra cui Bmw, Siemens ed Henkel) attesta che queste stanno spingendo su un trend partito già da tempo: puntare su un mercato di sbocco alternativo a quello europeo, che finora è valso circa la metà del surplus commerciale.

Alla domanda «In quale mercato concentrerete la maggior parte degli investimenti futuri?» la risposta vede in vantaggio in modo schiacciante i Paesi emergenti (43%), al 15% la Germania stessa, l'11% è destinato agli Stati Uniti e solo il 5% al resto d'Europa (il restante 26% non offre una guidance precisa).

Come dire, che la che Germania sta preparando il terreno per cambiare mercato di sbocco, consapevole che la domanda interna dei Paesi del Sud Europa, schiacciata negli ultimi anni dall'austerity e dalla recessione, non offre di sicuro le stesse opportunità di altre parti del mondo. Globalizzazione docet.

Ma globalizzazione docet anche in senso opposto. Secondo gli ultimi dati a disposizione l'appetito degli investitori esteri verso la Germania è in fase calante. Nel 2012 gli investimenti stranieri diretti (Fdi) in Germania sono scesi a 5,9 miliardi di dollari rispetto ai 6,9 miliardi dell'anno precedente. Siamo lontani anni luce dai 58,6 miliardi del 2007, secondo i dati della Banca centrale tedesca. Il declino prosegue nel 2013 dato che nei primi sei mesi del 2013 i Foreing direct investments si attestano a quota 800 milioni.

twitter.com/vitolops

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