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Questo articolo è stato pubblicato il 13 novembre 2013 alle ore 19:33.
L'ultima modifica è del 13 novembre 2013 alle ore 19:35.
I titoli ‘upper tier 2' fanno parte della famiglia dei cosiddetti prestiti subordinati che hanno riscontrato un successo crescente negli ultimi 15 anni. La banca che emette questo tipo di titoli può poi conteggiarne una parte nel capitale e migliorare così i suoi indicatori patrimoniali.
Da questa possibilità conseguono una serie di conseguenze per i possessori di questi titoli che giuridicamente mantengono la natura di obbligazioni ma sono per molti versi molto più simili alle azioni (partecipano alle perdite, possono subire la sospensione o la soppressione delle cedole e godono di una bassa gerarchia dei rimborsi in caso di liquidazione). In alcuni casi l'unica vera differenza tra azioni e titoli subordinati e l'assenza per questi ultimi dei diritti di voto. Il maggior livello di rischio fa si che a questi titoli vengano generalmente corrisposti interessi più alti rispetto alle obbligazioni tradizionali. La scala del rischio vede al primo posto i titoli ‘lower tier 1' che possono subire la soppressione dei dividendi e il cui rimborso può avvenire solo dopo che sono stati soddisfatti tutti gli altri creditori e sono privilegiati unicamente rispetto agli azionsti. Un gradino più in basso gli ‘upper tier 2', definiti strumenti ibridi di patrimonializzazione, durata di almeno 10 anni e possibilità di sospensione delle cedole (ma non cancellazione). Più sicuri i titoli lower tier 2 (cedole non sospendibili) e tier 3 , entrambi subordinati nei rimborsi unicamente ai titolari di obbligazioni tradizionali.
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