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Questo articolo è stato pubblicato il 18 dicembre 2013 alle ore 21:24.
L'ultima modifica è del 22 dicembre 2013 alle ore 18:25.

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Le cose vanno bene. Quindi gli acquisti di titoli saranno lentamente ridotti. Però non vanno troppo bene, anche a causa della (piccola) austerità fiscale, e i tassi resteranno a zero più a lungo di quanto si era immaginato. È una strategia di uscita difficile, quella della Federal Reserve: compito complesso è gestire le aspettative, soprattutto quelle degli investitori finanziari che a fine primavera, al solo annuncio della nuova fase della politica monetaria, si erano scatenati facendo andare i tassi di mercato – persino quelli europei - molto al di là delle intenzioni della banca centrale di Washington.

Le decisioni
Ben Bernanke e i suoi colleghi ridurranno allora da gennaio gli acquisti mensili delle mortgage-backed securities delle agenzie federali (35 miliardi invece di 40), e di titoli di Stato (40 miliardi invece di 45), e prevedono di fare ulteriori "tagli" a ogni riunione di politica monetaria – ogni sei settimane, quindi - se le condizioni lo permetteranno. Hanno però anche messo tra parentesi quel livello "critico" di disoccupazione del 6,5%, dopo il quale avrebbero dovuto valutare se alzare i tassi. Si andrà molto al di là, in termini di tempo, prima di toccare il costo del credito ufficiale, ha spiegato il comunicato, soprattutto se l'inflazione resterà al di sotto del livello "ottimale" del 2%.

Previsioni poco variate…
La Fed dunque riduce gli acquisti ma promette per questo tapering un ritmo lento, anche se costante, e allontana la fine della politica espansiva e l'inizio della vera e propria stretta: un modo per evitare reazioni eccessive degli investitori. Al di là dell'annuncio della riduzione di acquisti, il comunicato di dicembre sembra non aver fatto altro, però, che rendere più esplicite e più chiare cose già emerse a settembre. Poco nei fondamentali è del resto cambiato davvero, poco nelle proiezioni. Dodici governatori immaginavano un rialzo dei tassi nel 2015 a settembre, dodici lo immaginano ora a dicembre. Anche le previsioni su occupazione e, soprattutto, sull'inflazione non sono variate di molto. Solo la "bilancia dei rischi" alla ripresa, dal comunicato, appare oggi "in equilibrio" mentre era orientata "al ribasso" a ottobre. Un po' di chiarezza, tra un comunicato e proiezioni non necessariamente coerenti tra loro, era in ogni caso necessaria, e la Fed l'ha fatta.

…ma cambia il giudizio sull'inflazione
Una novità però c'è, ed è importante: con previsioni di inflazione di poco variate e persino migliorate – nessuno tra i governatori immagina che possa scendere al di sotto dell'1,4% - la Fed ha modificato la propria valutazione, al punto da allontanare nel tempo il rialzo dei tassi per questo motivo. Non è la stessa cosa di introdurre un livello minimo tollerato di inflazione, ma è comunque l'indicazione che livelli così bassi della dinamica dei prezzi sono ora considerati meno sostenibili rispetto al passato.

Il peso della politica fiscale
Non tutti si aspettavano in realtà una decisione a dicembre per gennaio, ma l'approvazione del Bipartisan Budget Act ha ridotto le possibilità di nuove tensioni su fronte della politica fiscale. Era stato il duro confronto tra democratici e repubblicani di settembre e ottobre a frenare la Fed, che forse avrebbe volentieri agito prima. Ridotti molti dei rischi su questo fronte, la banca centrale ha quindi potuto dare il via alla sua strategia di uscita. Sarà ancora al Campidoglio e alla Casa Bianca che occorrerà comunque guardare per capire l'effettiva durata di questo tapering e i tempi del prossimo rialzo dei tassi: la politica fiscale, che ha già compresso la ripresa, e non di poco, nel 2013, continua a fare da freno e la Fed, senza dare incentivi sbagliati all'Amministrazione – ma non è questo il caso, negli Stati Uniti di oggi - non vuole eccessivamente frenare la ripresa.

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