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Questo articolo è stato pubblicato il 05 gennaio 2014 alle ore 14:46.

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NEW YORK - La Zions Bancorporation è un'illustre sconosciuta nell'Olimpo della finanza americana. Una banca di medie dimensioni con sede nello Utah. Ma con l'anno nuovo ha conquistato una distinzione nazionale: ha sferrato uno dei primi attacchi alla Volcker rule, stimando una perdita di 387 milioni di dollari legata a svalutazioni e cessioni di derivati troppo rischiosi, i Cdo, imposte dalla nuova regola. Più degli utili annuali dell'istituto. Pochi giorni dopo la American Bankers Association, presentando il primo ricorso formale, ha accusato la Volcker rule di non aver tenuto conto dei costi e stimato le perdite che potrebbe causare alle banche locali in almeno 600 milioni.

Le mosse di Zions e dell'Aba sono solo le prime schermaglie. La posta in gioco, infatti, è rilevante per tutto il settore: le principali otto banche statunitensi potrebbero essere costrette a rinunciare a profitti lordi per dieci miliardi di dollari l'anno a causa del giro di vite della riforma finanziaria americana, la Volcker rule, grazie soprattutto alle sue misure più note, il divieto al trading con capitali propri e per proprio conto, il cosiddetto proprietary trading, e ai limiti del 3% del capitale Tier 1 all'esposizione a hedge fund. Il calcolo è di Standard & Poor's, che ha più che raddoppiato il conto in termini di business da cancellare e di costi di compliance rispetto a due anni or sono.

Il bilancio è tuttora provvisorio, perché la normativa resta da applicare: scatterà completamente non prima del luglio del 2015 e la Federal Reserve si è riservata l'opzione di farla slittare fino al 2017. Molto dipenderà inoltre da interpretazioni e modalità, con i regulator in lotta fra loro - soprattutto la Cfct, la Fed e l'Occ del Tesoro - per diventare il vero guardiano della regola. Ma certo è che un impatto ci sarà e che riguarderà i marchi eccellenti dell'alta finanza americana seppur in misura diversa, soprattutto Goldman Sachs per arrivare però fino a JP Morgan.

Sia Goldman che Morgan Stanley, banche d'investimento sopravvissute alla crisi e nel processo diventati tradizionali istituti che godono dell'assicurazione governativa sui depositi e quindi soggetti alla Volcker rule, sono le più esposte per il loro radicamento nel principal trading o market making, un business da 44 miliardi di entrate: derivano circa il 30% delle revenue da questa attività di compravendita di titoli per gestire la domanda dei clienti, contro circa il 10% di altri grandi istituti quali JP Morgan, Bank of America o Citigroup.

È qui che la Volcker rule prevede l'intervento più delicato: distinguere il market making dal proprietary trading, da scommesse speculative che possono generare guadagni come gravi perdite per le banche, è considerato difficile. Le banche spesso detengono riserve di titoli per facilitare questa domanda e la liquidità del mercato. La Volcker rule prevede eccezioni a scopo di «liquidity management», rimane però da verificare come metterà in pratica i nuovi limiti. Legato a questo è il discorso dell'hedging di simili o altri asset: le banche saranno tenute a operazioni strettamente correlate al rischio corso e a evitare strategie più generali, di portfolio hedging, che possono essere più facilmente al centro al centro di abusi.

Goldman, in particolare, potrebbe veder minacciato fino a un quarto delle entrate, hanno calcolato gli analisti di FBR. In tutto la banca deriva ancora circa metà delle revenue da attività di trading e un sesto da investimenti diretti in azioni, debito e fondi. Il cosiddetto FICC, trading in reddito fisso, valute e derivati, viaggia al 27% del totale delle revenue, anche se è in calo dal 35% del 2007. E se la banca è già corsa ai ripari chiudendo due trading desk apertamente dedicati a operazioni proprietarie e riducendo gli investimenti in hedge fund.

Morgan Stanley, da parte sua, ha messo in atto una drastica trasformazione che dovrebbe metterla in parte al riparo da contraccolpi. Ha scommesso negli ultimi anni anzitutto sulla gestione patrimoniale, rilevando la rete di brokeraggio di Smith Barney da Citigroup. A sua volta ha inoltre smantellato la divisione di trading proprietario, chiamata Process Driven Trading o PDT. Per JP Morgan, Bank of America e Citi il trading resta un'attività importante, ma proporzialmente è meno dominante. In generale, dal 2007, ha inoltre conosciuto un declino, con una riduzione tra il 25% e il 30% degli operatori nelle grandi banche.

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