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Questo articolo è stato pubblicato il 09 gennaio 2014 alle ore 07:32.

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Da anni si discute di dove i fondi pensione dovrebbero investire e come, per costruire un secondo pilastro pensionistico. In Italia, in particolare, se n'è discusso molto in occasione della riforma del Tfr del 2007, almeno per quanto riguarda le Pmi, visto che i dipendenti delle aziende con 50 dipendenti e oltre versano allo Stato la loro liquidazione. Che sia un "rientro" nel sistema produttivo oppure un supporto creditizio alle imprese in un momento di crisi, poco cambia: il tema è aperto e l'esigenza pressante.

Tra le risposte possibili per modernizzare la gestione previdenziale, l'attuazione di strumenti di credito che consentano agli strumenti di previdenza complementare di mettere a disposizione parte della loro liquidità del sistema economico. Credit funds o mini bond indicati da più parti come strumenti principe per fornire alle imprese quella liquidità che il sistema bancario fatica ad erogare, stretto tra Eba e Basilea III. I fondi pensione, insieme agli Enti previdenziali sommano oltre 160 miliardi di euro di patrimonio di cui circa 40 in titoli di Stato italiani: una maggiore diversificazione potrebbe destinare a questi strumenti una porzione ridotta di quei portafogli, ma decisiva per il sistema delle imprese.

Il punto è trovare il giusto equilibrio tra le esigenze degli iscritti ai fondi pensione, che chiedono a chi li gestisce di valorizzare al meglio il rendimento dei loro contributo, e l'utilità "politica" (in senso buono) di questi portafogli previdenziali.

I fondi pensione italiani sono strutturalmente "prudenti": possono investire solo in strumenti finanziari liquidabili in breve tempo; e ciò penalizza altri strumenti molto meno liquidi: private equity e fondi immobiliari, che solo ora stanno entrando nei portafogli dei fondi. La normativa che indica criteri e limiti di investimento risale al 1996 e negava la possibilità di investire in hedge fund (ossia fondi coperti ma tradotto impropriamente dalla Banca d'Italia di Antonio Fazio come "speculativi"), oltre a materie prime e paesi emergenti: rischiosi all'epoca, di recente molto profittevoli. Da anni è al vaglio una riforma di questi criteri, che ora attende solo il via libera del ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni.

Una riforma utile soprattutto a ridurre la volatilità delle gestioni di portafoglio previdenziale, che negli ultimi anni di crisi finanziaria ha fatto oscillare sull'ottovolante i valori quota dei fondi; inevitabile, visto che questi strumenti hanno in portafoglio esclusivamente (o quasi) liquidità, titoli di Stato e, marginalmente, azioni, la cui correlazione negativa è praticamente saltata negli ultimi anni.

Misure da accompagnare ad un'altra ipotesi di studio: la revisione dei criteri di contabilizzazione dei titolo, un dettaglio tecnico ma dal decisivo impatto sulle gestioni: la volatilità dei rendimenti è accentuata dal dover contabilizzazione ogni giorno quanto valgono le migliaia di titoli in gestione. E che offrirebbe l'occasione ai fondi pensione di sottoscrivere titolo di Stato dalla duration più lunga rispetto ai quattro anni attuali. Con un beneficio anche per il Tesoro che potrebbe metter loro a disposizione titoli quantomeno decennali, se non trentennali, risparmiando in spesa per interessi. E quindi, potenzialmente, in tasse: anche questa, volendo, è finanza etica o "socialmente responsabile". La previdenza complementare può fornire un supporto importante alla disciplina di bilancio dello Stato, sempre che queste tanto attese riforme vengano attuate.

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