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Questo articolo è stato pubblicato il 11 febbraio 2014 alle ore 11:25.
L'ultima modifica è del 11 febbraio 2014 alle ore 11:49.

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C'è ancora l'incognita Brasile nel futuro di Telecom Italia. L'offerta «consortile» per Tim Brasil non riesce a decollare per questioni di prezzo. A quanto risulta da indiscrezioni attendibili, infatti, l'ipotesi sul tavolo della banca d'affari brasiliana Pactual non riuscirebbe a mettere sul piatto molto di più di 6 miliardi per il 67% detenuto da Telecom. Questo perchè alla fine il maggior beneficiario dell'ipotizzato spezzatino non potrebbe che essere il quarto operatore mobile, Oi, impegnato in una complicata operazione di fusione con Portugal Telecom, al termine della quale il rapporto net debt/Ebitda sarà comunque ancora abbondantemente superiore a 3: fare un passo più lungo della gamba in queste condizioni sarebbe un azzardo.

L'offerta brasiliana sarebbe stata presentata solo a condizione di non innescare un'indesiderata asta al rialzo, presupponendo un'accettazione preliminare da parte di Telecom. Strada ormai impraticabile. Il primo motivo è che le quotazioni a San Paolo sono già salite oltre le disponibilità della formula consortile. A venerdì sera, infatti, il 67% di Tim Participaçoes, holding locale delle attività Telecom, valeva in Borsa l'equivalente di 6,3 miliardi di euro, il 20% in più rispetto al 24 settembre scorso, quando sono stati siglati i nuovi accordi Telco che hanno dato il via alle danze. Il secondo motivo è la risposta – implicitamente negativa – che la stessa Telecom ha dato alzando le barricate con la procedura di garanzia "parti correlate" – decisa il 16 gennaio, e oggi diventata operativa – di fronte a eventuali offerte, da qualsiasi soggetto avanzate, per Tim Brasil o parte dei suoi asset. Il terzo elemento sono le ipotesi allo studio del management per rafforzare la posizione del gruppo nell'ultimo avamposto all'estero, soprattutto se non si concretizzerà un'offerta talmente allettante da far cambiare idea a Telecom sulla strategicità del Brasile.

A riguardo, in gran riserbo – come anticipato da «Il Sole-24Ore» il 31 gennaio – alla fine del mese scorso l'ad di Telecom, Marco Patuano, è volato a Parigi – dal meeting londinese del Gsma (l'associazione mondiale degli operatori mobili) – per incontrarsi con Vincent Bolloré, il finanziere noto in Italia per essere tra i principali soci sindacati di Mediobanca, nonchè azionista al 5% di Vivendi, azienda di cui è vice-presidente destinato a subentrare a Jean-René Fortou sulla poltrona più alta. Lo scopo dell'incontro era verificare i margini per riaprire un dialogo interrotto due anni fa tra Fortou e l'ex-presidente Telecom Franco Bernabè. Allora l'ipotesi era quella di una fusione tra l'incumbent tricolore e le attività nelle tlc di Vivendi che comprendevano l'operatore mobile transalpino Sfr, la rete in fibra ottica brasiliana di Gvt e Maroc Telecom. Nel frattempo il Marocco è stato ceduto e Sfr è sulla via dello scorporo finalizzato alla quotazione. Gvt però è ancora in pancia a Vivendi, disponibile a considerare alternative alla cessione mancata, come sarebbe una fusione con Tim Brasil che rafforzerebbe la posizione di entrambi i gruppi nel Paese sudamericano. Ma, allora come oggi, l'ostacolo è Telefonica. Non si può prescindere da un chiarimento sulle intenzioni del gruppo guidato da Cesar Alierta che, a quanto pare, non ha gradito per nulla la prospettiva del ritorno su un'ipotesi che renderebbe più competitiva la posizione di Tim Brasil. D'altra parte Telefonica non può muoversi se prima non scioglie il nodo della sovrapposizione in Brasile. Il momento della verità però si avvicina, dal momento che a giugno i soci italiani di Telco – Generali, Mediobanca e Intesa – avranno l'opportunità di considerare se uscire dalla compagine o se restare fino a febbraio dell'anno prossimo, come vorrebbe Alierta. E avranno quindi tutto l'interesse di capire con quali prospettive eventualmente restare ancora in partita.

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