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Questo articolo è stato pubblicato il 12 febbraio 2014 alle ore 11:10.
L'ultima modifica è del 12 febbraio 2014 alle ore 11:11.

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Ernesto Mauri, amministratore delegato di MondadoriErnesto Mauri, amministratore delegato di Mondadori

È passato quasi un anno dal suo arrivo, a sorpresa, sul ponte di comando della Mondadori. Tempo di bilanci. E di strategie. Per la prima volta, Ernesto Mauri parla. Arrivato con un mandato forte, nel bel mezzo della peggior bufera che si sia abbattuta sul mondo dell'editoria: tagliare i costi e rimettere in carreggiata. Ma non si può solo sforbiciare (con la possibile chiusura di altre testate e risparmi per 100 milioni già tutti a budget).

C'è da impostare una strategia per riportare la storica casa editrice con tutte le attività in utile nel 2016. È l'impegno che Mauri prende con il mercato e l'azionista, la famiglia Berlusconi. Per farlo la strategia è la spinta sul digitale (meno carta, più schermi), e sul retail: da 600 a 1000 negozi. Bisogna svincolarsi dalla pubblicità. Per Mondadori è più facile: per il gruppo pesa poco sul totale: «Gli editori guadagneranno sempre meno con la raccolta. Per noi è una voce minima del fatturato: noi vogliamo continuare a essere leader nei periodici, nei libri, e nel retail; crescere nella radio. Il futuro è capitalizzare la diversificazione dei nostri business, accelerando sull'editoria digitale».

Scendiamo nel dettaglio della Mondadori. Venite da un 2012 dove avete perso 167 milioni. Il 2013 come si è chiuso?
Nel 2013 abbiamo, come tutti, sofferto la recessione. Avevamo già annunciato che l'anno sarebbe stato peggiore del 2012. Abbiamo anche compiuto una riorganizzazione significativa. E perciò gli oneri di ristrutturazione peseranno molto: 27 milioni di costi a settembre. A fine anno sono circa 50.

Quindi dobbiamo aspettarci un 2013 in perdita?
Sì, confermiamo le anticipazioni fatte al mercato. Ma già da quest'anno l'azienda tornerà a crescere.

Vuol dire che da quest'anno tornerete in utile, o quantomeno in equilibrio?
Non posso fare dichiarazioni previsionali, ma mi aspetto un netto miglioramento. E non solo perché scompariranno gli oneri del 2013. Il mio impegno col mercato e con l'azionista, che ci supporta, è il traguardo del 2016 con tutte le divisioni profittevoli. Grazie anche al digitale: l'obiettivo è arrivare al 13-15% dei ricavi totali. Per farlo, potremmo valutare anche qualche acquisizione mirata.

A quel punto il mercato vuole anche un ritorno al dividendo. Da 3 anni siete a dieta...
Una società quotata in Borsa deve pagare un dividendo. Altrimenti ha poco senso rimanerci.

La vostra leva è esagerata: debiti troppo alti rispetto al Mol anche per un blasone come Mondadori...
Abbiamo di recente ridefinito le linee di credito: siamo tranquilli per i prossimi anni.

Potrebbe non bastare: venderete qualcosa per rimborsare i debiti?
Nessuna cessione nel nostro core business. Abbiamo lavorato su tutte le linee di costo per trovare risorse da investire nel digitale. Il piano di taglio dei costi da 100 milioni è già stato tutto pianificato. Siamo a quota 70 milioni per quest'anno, e 30 il prossimo. Sì, invece, a vendita di asset non strategici: gli immobili, per esempio. Siamo editori, non immobiliaristi.

Appunto l'editoria. Il "malato grave" sono i periodici.
Sui magazine, in tutto il mondo, si è abbattuto uno Tsunami. Abbiamo rivisto il nostro portafoglio: meno testate, più focus nei settori leader e con prospettive digitali. Ma non escludo qualche altra chiusura. Non ci interessa il numero di periodici, ma la loro forza. Il 2014 sarà l'anno di Panorama. È la nostra bandiera: meno pagine di politica e più spazio alle passioni maschili.

Su Mondadori France sono circolate voci di cessione...
Vendita, no. Ma siamo disponibili a ipotesi di alleanze o condivisione di servizi e contenuti editoriali.

E poi c'è la radio R101 che ha difficoltà. Che piani ha?
Da quando Mondadori l'ha comprata, R101 è sempre stata in perdita. Non va bene. Ma nessuna vendita: è complementare ai nostri piani. Primum, risolvere il nodo conti.

I libri sono il vostro zoccolo duro, ma la crisi picchia anche lì...
Con una quota del 28%, siamo i primi, nel trade, in Italia. I libri soffrono il calo generale dei consumi, ma non sono toccati dal crollo della pubblicità. E soprattutto è possibile recuperare margini. Pensi agli eBook: no carta, no distribuzione, no resi. Anche con meno copie, si guadagna di più. La scolastica, poi, è un business in crescita, anche nella crisi, e con grandi potenzialità grazie alle tecnologie.

Ma i libri virtuali stentano ancora a decollare in Italia...
Gli eBook valgono il 3,5% del mercato. La nostra quota è al 5%: siamo più avanti degli altri. In America, però, la quota è al 25%. Quello è il futuro.

Se scompare la carta, non servono più nemmeno le librerie. E voi ne avete molte. Che ne farete?
Il retail è un settore che negli ultimi anni non ci ha dato soddisfazioni, ma è un punto di forza del gruppo. Siamo in pieno rilancio: oggi abbiamo 600 negozi. Il piano è di arrivare a 1000, aprendo altri franchising (oggi sono 570): in Italia ci sono oggi 2-3mila piccole librerie indipendenti. Molti di loro dovranno aggregarsi a catene più grandi. Nei nostri negozi entrano 20 milioni di persone l'anno. Un bacino enorme da sfruttare per vendere prodotti e servizi.

La sua "concorrente" Monica Mondardini, ceo del rivale Espresso, sostiene che non ha più senso avere per ogni editore una propria concessionaria.
Sono d'accordo. Noi stiamo già andando in quella direzione, con Mediamond, la joint-venture con Publitalia. È già una sorta di unificazione. Per noi i primi risultati sono positivi. Le aggregazioni tra concessionarie, o altri servizi, sono inevitabili.

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