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Questo articolo è stato pubblicato il 19 febbraio 2014 alle ore 15:18.

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La Cina – prima per produzione e dal 2013 anche per consumi di oro – cerca adesso di farsi largo nel circolo esclusivo del fixing: quel gruppo di cinque banche che due volte al giorno, da oltre un secolo, si riunisce per "fissare" il principale riferimento di prezzo del lingotto. Le agenzie Reuters e Dow Jones hanno raccolto voci secondo cui in pole position per subentrare a Deutsche Bank nella prestigiosa attività ci sarebbe Standard Bank: istituto sudafricano, che però ha appena ceduto il 60% della divisione trading, basata nella capitale britannica, alla Industrial & Commercial Bank of China (Icbc). Quest'ultima, controllata dallo Stato, non ha mai nascosto di volersi espandere al di fuori dei confini cinesi e in particolare sul mercato dei metalli preziosi. Nel 2011, inoltre, è stata accolta a far parte della London Bullion Market Association (Lbma), privilegio che in patria condivide solo con Bank of China.

Standard Bank rappresenterebbe una sorta di cavallo di Troia, per superare eventuali diffidenze nella City londinese o da parte degli altri soci della London Gold Market Fixing Ltd, che si occupa del fixing: Bank of Nova Scotia, Barclays, Hsbc e Société Générale. Icbc potrebbe inoltre incontrare qualche difficoltà a operare direttamente come come market maker sul mercato londinese dell'oro: un pre-requisito indispensabile per poter partecipare al fixing. Standard Bank è già market maker per il platino e il palladio, di cui contribuisce alla fissazione dei prezzi.
Deutsche Bank ha collegato la decisione di abbandonare il fixing al generale ridimensionamento delle sue attività nelle materie prime (si veda Il Sole 24 Ore del 18 gennaio). Il meccanismo di definizione del benchmark aurifero è tuttavia finito sotto la lente dei regolatori e si ritiene che poche banche occidentali sarebbero oggi disposte a lasciarsi coinvolgere, rilevando il posto di Deutsche.

Non stupisce d'altra parte che Pechino aspiri a guadagnare un ruolo di primo piano anche nelle transazioni finanziarie relative all'oro. Le cifre di consuntivo sul 2013 diffuse ieri dal World Gold Council (Wgc) hanno confermato che la Cina ha sorpassato di gran lunga l'India, diventando il primo consumatore mondiale del metallo: la sua domanda – al traino di acquisti record di gioielleria, monete e lingotti – è aumentata di un terzo a 1.065,8 tonnellate, contro le 974,8 dell'India (la cui domanda è comunque salita del 13%, stima il Wgc, nonostante le pesanti restrizioni all'import). Le voci secondo cui Pechino avrebbe accresciuto di 500 tonnellate le riserve auree della banca centrale sarebbero infondate, secondo Marcus Grubb, managing director del Wgc, più propenso a credere in un accumulo di scorte lungo la filiera orafa.

Nonostante gli straordinari consumi – non solo asiatici, perché gli acquisti di gioielleria sono stati da primato in tutto il mondo (3.863 ,5 tonn, +21%) – a livello globale la domanda di oro nel 2013 è complessivamente diminuita del 15% a 3.756 tonn, il minimo da 4 anni. Colpa dei riscatti di Etf, che tuttavia sembrano ora essersi arrestati. Forse anche per questo il prezzo del metallo ha riguadagnato ben il 10% quest'anno, superando 1.330 $/oncia: una performance che ha ridato fiducia a Grubb, che ora giudica possibile «un ritorno positivo» nel 2014.

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