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Questo articolo è stato pubblicato il 26 febbraio 2014 alle ore 07:18.
PECHINO - Nuovo, amaro, capitolo nella stretta al credito che si è riacutizzata in Cina da qualche giorno a questa parte. Dopo la sonora frenata borsistica dei titoli delle società immobiliari, ora cresce la sfiducia tra le banche a prestarsi il danaro, una spia pericolosa che rivela come gli investitori stiano puntando sui più sicuri titoli di Stato. Nessuno vuole rischiare oltre il dovuto, le banche cinesi iniziano a mostrare segni di affanno. Lo spread sugli swap è un forte indicatore di stress finanziario: ha raggiunto 121 punti base il 19 febbraio, la più ampia misura dal 2007. C'è chi azzarda perfino un parallelo con lo scenario statunitense alle soglie del default del 2008.
Gli sforzi del premier Li Keqiang per frenare il ricorso al credito incondizionato nella seconda più grande economia del mondo rischia di sortire un effetto collaterale indesiderato: il controllo degli oneri finanziari – dicono gli addetti ai lavori – dovrebbero essere maneggiati con cura per evitare di distruggere la fiducia nel sistema finanziario.
Il punto è che il sistema dello shadow banking in Cina, che include società fiduciarie e di prodotti di wealth management di istituti di credito, è più strettamente legato all'economia reale che nei Paesi occidentali. Lo ha ribadito il ministro delle finanze Lou Jiwei, eventuali prodotti in scadenza a rischio default non rappresentano un grande problema.
A complicare il quadro si aggiunge la debolezza dello yuan, sceso dello 0,03 % a 6,1286 per dollaro a Shanghai dopo essere andato a quota 0,46 ieri.
La PBOC ha lottato finora contro la montagna di crediti drenando questa settimana altri 16,3 miliardi di dollari e si capisce: nel 2013 nell'ultimo trimestre la Cina ha accumulato altri 28,5 miliardi di bad loans. Con le prospettive di rallentamento dell'economia nel 2014 al 7,5%, il ivello più basso dal 1990, la situazione per Pechino non sembra affatto semplice da sbrogliare.
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