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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2014 alle ore 14:00.
L'ultima modifica è del 15 marzo 2014 alle ore 20:38.

Pechino stringe i tempi della piena convertibilità valutaria. La Banca centrale cinese (Pboc) ha allargato la banda d'oscillazione del renminbi portandola dall'1 al 2 per cento.
La decisione, operativa da lunedì, era attesa da alcune settimane, in particolare da quando le autorità monetarie avevano iniziato a pilotare verso il basso il tasso di cambio dello yuan attraverso interventi sul mercato e iniezioni di liquidità: l'obiettivo è quello di arginare la speculazione, che fino a un mese fa scommetteva unilateralmente sul rialzo della moneta cinese.
Ampliare la banda significa quindi aumentare il margine di rischio per gli investitori e raffreddare l'afflusso di capitali a breve, uno dei mille problemi del sistema finanziario di Pechino. Questo, almeno nelle intenzioni. Già il precedente allargamento del 2012 – dallo 0,5 all'1 per cento – in realtà non era servito molto a tenere su livelli bassi i rapporti di cambio.
Fino a un mese fa l'apprezzamento dello yuan sul dollaro era stato costante e prima degli interventi della Banca centrale era arrivato ai massimi livelli sul dollaro dal 2005, anno in cui la valuta cinese venne sganciata dal dollaro.
Pur non essendo stata formalizzata una tabella di marcia, gli analisti e gli operatori di mercato ritengono che le autorità cinese puntino ad arrivare alla piena convertibilità - quindi alla liberalizzazione dei flussi in entrata e uscita della bilancia dei capitali – nei prossimi cinque anni.
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