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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2014 alle ore 07:32.

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Se c'è una cosa che i mercati finanziari tollerano a fatica sono le crisi politiche: imprevedibili e talvolta poco fondate, rischiano sempre di creare conseguenze superiori al previsto, in un senso o nell'altro; e quando pare che possano assumere dimensioni tali da creare rischi sistemici globali, si sgonfiano per venire dimenticate nel giro di pochi giorni. Con spreco di stress e smobilizzo di portafoglio a fini di copertura. Quando va bene. Perché a volte va male e allora sì che bisogna leccarsi le ferite, prendere provvedimenti immediati e soprattutto attrezzarsi con un opportuno bagaglio statistico e coperture adeguate, in modo che alle prossime evenienze non ci si trovi impreparati.

Per questo Bank of New York Mellon ha analizzato la reazione di Wall Street dinanzi alle crisi geopolitiche ed economiche degli ultimi 100 anni, per capire - a seconda delle differenti tipologie di crisi – come si comportano gli indici azionari. Per farlo sono stati presi in esame 53 eventi critici di natura geopolitica: dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale all'attentato a J.F. Kennedy, all'infarto di Eisenhower, fino agli attentati dell'11 settembre o a quello alla Maratona di Boston, passando per l'invasione russa in Afghanistan, la guerra delle Falkland e il crack di Lehman Brother.

Statistiche su cui ci si interroga in queste ore, a ridosso delle tensioni tra Ucraina e Russia dopo il referendum crimeo, che sta facendo salire la tensione tra Mosca e i altri paesi occidentali. L'assunto di fondo è che ogni tipologia di evento può produrre una reazione differente: l'impatto sul Dow Jones delle vicende statunitensi è diversa per estensione e profondità da quello prodotto da vicende extra-Usa, sia sul breve che sul medio e lungo termine: secondo quanto emerso dallo studio di Bny Mellon, l'incidenza delle crisi politiche-economiche Usa su Wall Street è maggiore nell'immediato – con un calo medio del 9,21% nei giorni caldi dell'evento, mentre in caso di crisi internazionali l'impatto è quasi neutro: +0,53%. Ma nel medio e lungo termine tutto cambia: le vicende Usa a 22 giorni dall'esplosione della crisi spingono in media il Dj a un +3,07% contro un +1,13% delle vicende extra Usa; a 63 giorni la forbice si allarga: nel primo caso si registra un +6,73% contro un 2,98 del secondo caso e a 126 dalla crisi le crisi Usa producono un +9,89% contro un +6,7% di quelle extra Usa.

Si tratta, è appena il caso di ricordarlo, di variazioni percentuali medie che riguardano le vicende passate; ogni nuova crisi non può che rimodellare le statistiche e per questo queste medie: il che significa che questi dati devono essere presi in considerazione pronti a essere smentiti dai nuovi fatti. Lo stesso l'attentato alle Torri Gemelle dell'11 Settembre ha causato un crollo immediato dell'indice Dow Jones Industrial Average, pari al -7,9% nel giro di 20 giorni circa, seguito però nel giro di pochi mesi da un'ampia ripresa dei rendimenti cumulati, pari al +12% in 126 giornate di scambi (circa 6 mesi). Viceversa, un evento come l'invasione di Praga da parte dei carri armati sovietici nel 1968 ha visto l'indice Dow Jones guadagnare il 7,7% nei primi 2 mesi, e perdere invece il 5,13% nei sei mesi successivi.

Anche il fallimento Lehman è giunto decisamente inatteso dai mercati, così come dalle autorità Usa: il crollo immediato dei listini si è protratto per mesi fino a produrre un calo calcolato da Bny Mellon del 22,63% dal 15/09 al 30/06 (ma già da marzo i mercati avevano ripreso tono). Ci sono poi reazioni finanziarie che non hanno sorpreso più di tanto, mentre altri invece sono risultate inattese: l'invasione statunitense in Iraq nel 2003 ha prodotto un rialzo dei listini superiore al 46 nel corso della fase clou dell'intervento, ossia dal marzo a dicembre: ma si veniva da lunghi mesi in cui le Borse erano scese nell'incertezza della situazione geopolitica. Maggiore – sia in positivo che in negativo – l'estensione della reazione del Dow Jones nell'immediato della crisi, minore l'estensione della reazione nel medio e lungo periodo: l'assassinio di Kennedy ha visto la Borsa scendere del 2,89% a ridosso dell'attentato di Dallas, mentre nei due mesi successivi la Borsa è risalita del 10% e del 14,68% a 126 giorni.

Se si esaminano le medie storiche di tutte le crisi geopolitiche ed economiche degli ultimi 100 anni, è comunque possibile individuare alcuni trend di base. Molto spesso, infatti, la reazione di Wall Street è negativa nell'arco del periodo di riferimento. Ma in nessun caso la media dei rendimenti compositi risulta inferiore allo zero se si guarda l'indice Dow Jones Industrial a 3 o a 6 mesi di distanza dalla fine dell'evento. Evidenziando come la possibile (ma non scontata) volatilità ceda comunque il passo a una crescita di breve periodo legata al normale andamento dei cicli di Borsa.

«La spiegazione per questa variabilità di reazione – dice Marco Palacino, country head per l'Italia di Bny Mellon Investment Management - risiede solo in parte nella percezione che hanno i mercati della gravità della crisi». In realtà, proprio perché le crisi sono imprevedibili, i mercati azionari non riescono a integrarne correttamente gli effetti nei prezzi degli indici. "Gli investitori, allora, continuano in larga misura a basare le loro decisioni sui più tradizionali indici macroeconomici e sui dati fondamentali».

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