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Questo articolo è stato pubblicato il 06 aprile 2014 alle ore 16:54.
L'ultima modifica è del 06 aprile 2014 alle ore 17:11.
Il deficit/Pil è diventato un po' l'ossessione di tutti. A inizio gennaio il premier Matteo Renzi ha dichiarato: «Il limite del 3% si può sforare». Salvo poi fare dietrofont poche settimane fa, in un tête-à-tête in Germania con la cancelliera Merkel: «Rispetteremo il parametro del 3%». Una strada ribadita a inizio settimana anche in Italia: «Rispetteremo i parametri e non vogliamo essere trattati come scolaretti dietro una lavagna».
Ma il balletto non riguarda solo l'Italia. Ieri la Francia - che da anni sfora il parametro e nella primavera scorsa aveva ottenuto una proroga di due anni insieme a Spagna e Olanda prima di riportarlo nei limiti - è stata bacchettata dal commissario europeo Olli Rehn (lo stesso che a settembre in visita in Italia ha praticamente suggerito l'aumento dell'Iva proprio per evitare di sforare il parametro europeo più discusso di sempre): «Concedere più flessibilità in modo ingiustificato alla Francia o a un altro Stato membro vuol dire creare un precedente che potrebbe essere usato da altri Paesi membri», ha detto alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, mettendo in guardia dal fare sconti a Parigi sulle regole pattuite e sul deficit.
Ma alla fine, chi lo rispetta questo parametro, sulla cui invenzione peraltro non mancano delle polemiche (per voce dello stesso ideatore, il francese Guy Abeille, è oggi anacronistico)? Nel 2012, ultimo dato in cui vi sono le statistiche definitive Eurostat, su 18 Paesi dell'Eurozona ben 11 non lo hanno rispettato. E tra questi non c'è l'Italia, che invece rientra tra i 7 virtuosi (insieme a Germania, Estonia, Lettonia, Lussemburgo, Austria e Finlandia) che sono riusciti a non sforarlo. Nel 2013 (seppure i dati siano aggiornati al terzo trimestre) il numero dei Paesi a sforarlo sarebbero stati ben 13 (secondo l'Fmi l'Italia avrebbe chiuso al 3,2% tornando a superarlo, seppur di poco). Nel 2009-2010 il numero di chi non lo ha rispettato è stato pari a 14 su 17 (la Lettonia non era ancora entrata). In questo biennio è stato sforato anche dalla Germania.
Dal 2009 in poi il deficit/Pil medio dell'Eurozona a 18 è sopra il 3%, segnale che da ormai cinque anni consecutivi l'Eurozona non riesce a rispettare un parametro ideato più di 20 anni fa e che secondo anche lo stesso Romano Prodi, tra i fondatori dell'impalcatura di Maastricht, andrebbe oggi rivisto.
Il dato del deficit/Pil ci indica però anche che negli ultimi anni - cruciali perché sono gli stessi in cui l'Eurozona ha dovuto affrontare una grave crisi prima finanziaria e poi economica - i Paesi hanno remato in modo profodamente diverso. Gli errori - peraltro ammessi anche dal Fondo monetario internazionale - sul calcolo del moltiplicatore fiscale alla base del quale è stata imposta una rigida politica di austerità pur in un momento anti-ciclico (cioè quando l'economia andava male e quindi in teoria avrebbe avuto bisogno di un sostegno e tecnicamente anche di più deficit) l'Italia è stata il Paese che ha fatto meno deficit di tutti i Paesi del Sud Europa e della periferia dell'Eurozona (zona in cui viene allocata sia geograficamente ma è stata avvicinata negli ultimi anni anche economicamente).
Dal 2009 al parziale del 2013 il deficit/Pil cumulato dell'Italia si è attestato a 20,7 punti, contro i 25 punti della media dell'Eurozona. Hanno fatto più deficit (e conseguentemente avuto in teoria la possibilità di rilanciare maggioramente le proprie economie) ben 12 Paesi su 18. Tra cui Francia (30,3%) e Spagna (50%). Ancor più eclatanti i casi della Grecia (100%) e Irlanda (80%), Paese che quest'anno vedrà il Pil crescere del 2% e che paga meno interessi dell'Italia per sostenere il proprio debito sui mercati internazionali.
Anche se non fa parte dell'Eurozona, il discorso può estendersi al Regno Unito (44,3%) che ha generato molto più deficit nel momento più critico per l'andamento economico e oggi è tornato a crescere. Ovviamente il ritorno alla crescita non sarà solo questione di deficit in fasi anti-cicliche, ma i dati mostrano una correlazione spietata. Oltreché una gran confusione generale su questo parametro e sull'osservanza disomogenea da parte dei vari attori dell'area euro.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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