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Questo articolo è stato pubblicato il 10 aprile 2014 alle ore 07:34.
L'ultima modifica è del 10 aprile 2014 alle ore 11:14.

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In corso da quasi 11 settimane, lo sciopero nelle miniere di platino sudafricane è già entrato nel Guinness dei primati come il più lungo dalla fine dell'apartheid, nel 1994. Le società coinvolte, Anglo American Platinum (Amplats), Impala Platinum (Implats) e Lonmin, denunciano di aver perso 600mila once di produzione e 1,2 miliardi di dollari di introiti, un conto destinato a salire perché non si intravvede una soluzione della vertenza: le trattative sono interrotte e le parti restano inchiodate sulle proprie posizioni, con il sindacato Amcu che insiste per un raddoppio del salario di base dei minatori e le società estrattive – già alle prese con costi esorbitanti – disposte ad offrire un aumento massimo del 9% (comunque più alto dell'inflazione, che è al 5,9%).

Nonostante tutto le quotazioni del platino – oggi inferiori a 1.440 $/oncia – sono addirittura diminuite rispetto al 23 gennaio, quando è stata proclamata la protesta. E non è l'unico fattore sorprendente. La situazione per le minerarie colpite potrebbe infatti non essere così disastrosa come sembra. Intervistato dal Sole 24 Ore Bradley George, head of Commodities and Natural Resources della sudafricana Investec Asset Management, invita ad esaminare le cose da una prospettiva diversa da quella che verrebbe spontaneo adottare: «In realtà questo sciopero sta danno una mano quanto meno ad Amplats, perché ne facilita i piani di ristrutturazione.

La società aveva annunciato 14mila esuberi, ma il Governo frena perché il Sudafrica ha già un tasso di disoccupazione del 25%». Il tempo gioca a loro favore (ed eventualmente anche di Implats e Lonmin) perché la sospensione prolungata delle estrazioni danneggia le miniere e a quel punto diventa più facile decretarne la chiusura definitiva. Pochi giorni fa Mark Cutifani, ceo della controllante Anglo American, ha anche ventilato la possibilità di venderne alcune e un paio di società – Sybanie Gold ed Exxaro – hanno già manifestato interesse.

Lo stop della produzione, inoltre, non ha fermato le vendite di Amplats, che secondo informazioni raccolte da Investec ha scorte di platino di 160-180mila once, con cui è in grado di soddisfare i clienti fino a giugno. «Implats e Lonmin sono messe peggio – dice George – perché al contrario hanno praticamente esaurito le scorte». L'assenza di difficoltà nell'approvvigionamento spiega anche il mancato rally del platino. Le minerarie sudafricane sono responsabili del 73% dell'offerta primaria, ma non tutta la produzione del Paese è ferma e, soprattutto, nel mondo ci sono stock enormi ai quali attingere: 19 milioni di once, pari a tre anni di consumi, aveva stimato qualche mese fa Standard Bank. In parte sono stati accantonati a fronte di Etf, ma in parte sono nei magazzini degli utilizzatori: perlopiù fabbricanti di catalizzatori per veicoli diesel, che si sono scontrati a lungo con un mercato dell'auto asfittico in Europa.

Investec ritiene in ogni caso che il platino si surriscalderà nei prossimi mesi: per il secondo semestre 2014 prevede un prezzo di 1.525 $/oz. «Molto più critica – osserva George – è la situazione per il palladio, che oltre che lo sciopero in Sudafrica, Paese da cui arriva per il 37%, soffre anche rischi relativi alla Russia, che ne fornisce un altro 50% circa». Per questo metallo, già salito in marzo ai massimi dal 2011, intorno a 800 $/oz, Investec si aspetta 875 $ nella seconda metà di quest'anno e 1.000 $ nel secondo semestre 2015. Da record storico.

twitter@SissiBellomo
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