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Questo articolo è stato pubblicato il 05 maggio 2014 alle ore 21:41.
L'ultima modifica è del 05 maggio 2014 alle ore 21:42.

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(Epa)(Epa)

Gli scontri sempre più violenti degli ultimi giorni hanno riportato l'Ucraina al centro dell'attenzione anche sui mercati dei cereali, che in precedenza avevano accantonato con sorprendente leggerezza la secessione della Crimea. La perdita della penisola era evidentemente sembrata un evento superabile per l'economia agricola del Paese, ma ora le preoccupazioni nel settore – che è tra le principali fonti di entrate per Kiev – stanno crescendo. Da un lato la crisi ha assunto proporzioni più ampie, destabilizzando nuove aree del Paese e moltiplicando il numero delle vittime. Dall'altro si sta rafforzando il timore di ulteriori sviluppi negativi.

Le Borse dei futures sono tornate in tensione, con il grano che è salito ai massimi da oltre un anno a Chicago (726,75 cents/bushel), trascinando con sè anche il mais. A Parigi il frumento da macina ha chiuso a 216,75 euro per tonnellata, non lontano dal picco di metà aprile (221,25 €). A stimolare gli acquisti negli Stati Uniti, a onor del vero, è soprattutto l'allarme per il caldo torrido che ha investito Kansas e Oklahoma: l'ennesima anomalia climatica, dopo l'eccezionale gelo dello scorso inverno, che per gli operatori americani è ben più tangibile delle vicende ucraine. Kiev è però molto vicina a noi, in termini geografici e soprattutto commerciali. L'ex granaio sovietico – oggi secondo produttore di cereali al mondo dopo gli Usa – insieme alla Russia è uno dei fornitori chiave dell'Europa (oltre che di Nord Africa e Medio Oriente). L'anno scorso la Ue ha importato dall'Ucraina 7,5 milioni di tonnellate di mais, circa un milione di tonnellate di grano e 50mila di orzo. Siamo inoltre forti acquirenti di semi di girasole ucraini.

Finora non c'è stata notizia di difficoltà di esportazione: un fatto che sicuramente ha contribuito a tranquillizzare i mercati. Benché gli ordini siano rallentati per ovvie ragioni di prudenza, neppure questi si sono fermati: l'Egitto ha appena acquistato 55mila tonnellate proprio da Kiev e altrettante dalla Russia (entrambe hanno offerto il prezzo più competitivo, circa 15 $/tonn meno della Francia).

Se la secessione della Crimea non ha sottratto a Kiev più del 10% di capacità di esportazione, oggi la situazione si è però fatta molto più allarmante. Odessa, al centro della più recente escalation di violenza, è il maggior terminal per i cereali in Ucraina, con una capacità – ampliata solo pochi mesi fa – di 4 milioni di tonnellate l'anno. Non solo. Mosca con la Crimea ha anche ottenuto il controllo totale dello stretto di Kerch: un passaggio obbligato per raggiungere il Mar Nero dal Mare di Azov, sulle cui sponde si trovano altri due importanti scali marittimi per i cereali ucraini, quello di Mariupol (città peraltro anch'essa al centro di violenti scontri) e quello, un po' più piccolo, di Berdyansk.

Anche per i prossimi raccolti ucraini cominciano inoltre a levarsi voci di allarme. La rappresentanza locale del dipartimento Usa per l'Agricoltura (in anticipo sul rapporto mensile Usda, atteso per venerdì) ha avvertito che nella prossima stagione la produzione di mais rischia di calare di 5,9 milioni di tonnellate, a 25 milioni (di cui 17,5 esportati contro i 20,5 milioni attesei per quest'anno). Meno grave il danno atteso per il grano, che è già in gran parte seminato e necessita di minori applicazioni di fertilizzanti: la stima è che il raccolto si riduca da 22,8 a 20 milioni di tonn, di cui 9,5 milioni anziché 10 esportati.
I costi di produzione, avverte l'Usda, stanno aumentando del 20-30% contro una media del 10% negli ultimi 5 anni e «potrebbero salire ancora di più» in seguito al crollo della valuta locale. La hryvnia debole sta inducendo a ridurre gli acquisti di sementi pregiate, di attrezzature più moderne e di fertilizzanti. Gli agricoltori stanno inoltre incontrando difficoltà crescenti nell'ottenere credito dalle banche.
Twitter: @SissiBellomo
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