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Questo articolo è stato pubblicato il 12 maggio 2014 alle ore 07:32.

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Forte impulso alla consulenza d'investimento, ulteriore spinta all'offerta commerciale. Poste ha consolidato la figura dello specialista commerciale promotore finanziario, introdotta nel 2012. È questa, secondo fonti sindacali, la strategia di Poste Italiane sul personale: il primo gruppo nazionale per dipendenti, 143.655 nel 2013 (metà addetti ai servizi postali, metà al "mercato privati", cioé a BancoPosta), ha un costo del lavoro consolidato che l'anno scorso è cresciuto dell'1,1% sfondando i 6 miliardi nonostante il calo di 1.100 addetti. Cosa colloca BancoPosta è illustrato nelle pagine precedenti. Come, Plus24 l'ha già spiegato il 26 marzo 2011: all'epoca erano «fino a 4.300 euro per direttore di Ufficio postale centrale, per scendere sino a 480 euro per gli sportellisti» gli incentivi in caso di raggiungimento degli obiettivi commerciali trimestrali nel collocamento di prodotti finanziari e di risparmio. Secondo fonti interne, il sistema incentivante individua obiettivi a livello di ufficio con premi decrescenti per le figure commerciali che hanno contribuito a raggiungere i budget. Sono in corso campagne commerciali ad hoc sui Buoni fruttiferi e sim Postemobile. Sono premiati anche il numero dei conti postali attivi, le loro consistenze e la raccolta netta. Contro il "mal di budget", l'anno scorso sindacati e azienda hanno firmato il Codice etico commerciale sul modello di quello dei bancari. Il 28 febbraio 2012 hanno firmato l'accordo sul ridimensionamento della Divisione servizi postali, con le eccedenze di personale trasferite a BancoPosta. L'azienda continua a proporre ai singoli esodi incentivati, senza accordi collettivi, o il "progetto svincolo" con il quale se un genitore dipendente lascia il posto fisso entra il figlio, ma a part time. A giugno 2013 è stato firmato il Fondo di solidarietà per eventuali prepensionamenti, sullo schema di quello dei bancari.

I sindacati in campo sulla quotazione
Ora i sindacati attendono dal nuovo Cda guidato dall'ad Francesco Caio il piano industriale. Sinora le sigle hanno contestato ipotesi di spacchettamento aziendale (il Governo Letta pensava a un'Ipo della sola PosteVita). Lo Slc/Cgil, in particolare, è preoccupato per la decisione di quotare il 40% di Poste Italiane «senza aprire un confronto con le parti sociali. Sono necessarie regole che impediscano il concentramento di azioni a pochi soggetti e che vietino l'acquisto a chi abbia interessi confliggenti con quelli del gruppo Poste». Lo Slc chiede poi che il Governo garantisca che Poste restino public company, con lo Stato almeno al 60%, e un piano industriale che indichi come le risorse del collocamento saranno investite per lo sviluppo del gruppo «che dovrà restare unico». A differenze di altre sigle, quanto «alla vendita di azioni ai dipendenti con la possibilità di espressione di un loro rappresentante nel cda», Slc riconferma «la propria contrarietà poiché ritiene che sia diversa la strada da percorrere se si vuole perseguire la finalità di una maggiore partecipazione dei lavoratori alla vita e alle scelte delle aziende».

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