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Questo articolo è stato pubblicato il 16 maggio 2014 alle ore 07:16.
L'ultima modifica è del 19 maggio 2014 alle ore 18:16.

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Con i consumi occidentali che si stanno riprendendo più rapidamente del previsto e la Cina che accumula scorte a un ritmo «senza precedenti», la sete di petrolio nei prossimi mesi rischia di non essere soddisfatta. L'avvertimento è dell'Agenzia internazionale per l'energia (Aie), che torna – con scarsa fiducia – a mettersi nelle mani dell'Opec: nel terzo trimestre per riequilibrare il mercato l'Organizzazione degli esportatori dovrebbe fornire ogni giorno ben 900mila barili di greggio in più rispetto a oggi, calcola l'organismo dell'Ocse. La sfida si presenta impegnativa: «Anche se l'Opec ha una capacità produttiva più che sufficiente per farcela – osservano gli economisti dell'Aie – bisogna vedere se riuscirà a superare le difficoltà sopra il livello del suolo che di recente hanno tormentato alcuni dei suoi membri».

Il pensiero va prima di tutto alla Libia, ancora lontanissima dal ritorno alla piena produzione, nonostante in questi giorni si sia aperto qualche spiraglio di speranza: le proteste nei giacimenti occidentali sono cessate, consentendo a El Feel e Wafa di riavviare la produzione, mentre a giorni potrebbe ripartire anche il più grande El Sharara, ma l'output – pur risalito – ammonta per ora ad appena 300mila barili al giorno, contro una capacità teorica di 1,6 milioni. L'Iran intanto resta "sotto" di circa 1 mbg per colpa delle sanzioni, anche se l'export negli ultimi mesi è risalito a livelli addirittura superiori a quanto consentito dagli accordi con le potenze occidentali (ad aprile è stato di 1,1 mbg stima l'Aie, dopo aver raggiunto un picco di 1,6 mbg in febbraio).

Ma i problemi dell'Opec non si fermano a Libia e Iran. Furti e sabotaggi compromettono la produzione in Nigeria, in Angola ci sono state difficoltà tecniche e in Iraq le condizioni di sicurezza sono ancora molto precarie, con ripercussioni sulle attività estrattive e sulla capacità di esportazione.

Dopo che la sua produzione era crollata ai minimi da 5 mesi in marzo, l'Organizzazione è riuscita a tornare a 29,9 mbg in aprile (+405mila). Ma già da quest'estate il suo sforzo rischia di rivelarsi insufficiente.

Il ministro del Petrolio saudita Ali Al Naimi dall'International Energy Forum a Mosca ha assicurato che «l'Opec, qualunque cosa accada, è sempre in grado di soddisfare la domanda». La stessa Riyadh potrebbe però faticare ad aprire di più i rubinetti: lo scorso mese ha estratto ben 9,7 mbg e con le temperature estive anche i suoi consumi si impennano.

D'altra parte l'Aie, come tutti i maggiori organismi di previsione, ha dovuto ridimensionare le sue aspettative sullo sviluppo della produzione non Opec, anch'essa colpita da imprevisti. Tra i più gravi, il mancato avvio di Kashagan per cui – come ha confermato ieri il ministro kazakho Uzakbai Karabalin – sarà necessario sostituire tutta la rete di pipelines: un lavoro costoso e impegnativo, che potrebbe comportare un rinvio della produzione addirittura al 2016.

Fuori dall'Opec arriveranno pur sempre 1,5 mbg in più, per un totale di 56,1 mbg, di nuovo grazie soprattutto al greggio non convenzionale nordamericano. L'Aie osserva tuttavia che la domanda sta risalendo a un passo più spedito delle attese negli Usa, in Giappone, Germania e Gran Bretagna: ora si aspetta un incremento di 1,3 mbg, a un record di 92,8 mbg per il 2014.

In Cina i consumi non sono brillanti, ma l'import corre lo stesso, facendo stimare «un accumulo di scorte senza precedenti, di 1,4 mbg solo nel mese di aprile». Continuando così Pechino «potrebbe sostenere il mercato e impedire in altri luoghi la risalita delle scorte commerciali». Un problema, perché nell'Ocse queste sono ancora «storicamente basse»: 3,1 miliardi di barili in aprile, 79 milioni in meno della media quinquennale.


Twitter: @SissiBellomo


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